La genealogia divina di Menfi, conosciuta come Trattato di teologia menfita, è giunta su una stele, risalente all’VIII secolo a.C. ed attualmente conservata al British Museum. La stele è detta anche “Pietra di Shabaka”. Secondo la dottrina menfita, la creazione del mondo sarebbe opera di Ptah, che con il cuore, sede del pensiero, e con la lingua, la parola che conferisce la vita, avrebbe generato otto emanazioni di sé. Secondo questa sistemazione sacerdotale la divinità non si accontentò di creare solamente gli dei, ma anche le città ed i distretti egizi, insegnando agli uomini l’agricoltura e l’artigianato apportando benessere e prosperità al mondo.
Il Testo della teologia menfita
Il Testo della teologia menfita risale alla fine dell’VIII secolo. Si tratta di un blocco di basalto, la cui iscrizione si fa passare per la riproduzione di un antico papiro manoscritto. Nel titolo, il sovrano Shabaka (716-702) chiarisce le circostanze della redazione:
Sua Maestà fa scrivere di nuovo questo libro nella casa di suo padre Ptah. Sua Maestà lo ha trovato, come opera dei predecessori, divorato dai vermi e non lo si poteva [leggere] dall’inizio alla fine. Perciò Sua Maestà lo fa scrivere di nuovo, così che sia più bello di come era prima.
Inizialmente ci si chiedeva se il testo fosse appartenuto alla I-II dinastia oppure alla V-VI, poi sono state avanzate numerose motivazioni per far risalire quest’opera, se non del tutto, almeno in parte, alla XXV dinastia. In questo testo, il motivo della preesistenza è interpretato come se gli aspetti del caos dal canto loro derivassero dal dio Ptah, visto che la locuzione (ḫpr m) significa sia ‘nascere da’ sia ‘divenire’
In qualsiasi modo si voglia completare questo testo molto lacunoso, una cosa è chiara: lo stato originale della preesistenza è ancora una volta trasceso in un dio, il quale è così rappresentato come un’unità puramente trascendente, che precede ed è posta a fondamento della preesistenza stessa. In seguito si continua a dire di Ptah:
Ptah mandò la [vita a tutti gli dèi] e ai loro ka/ mediante questo cuore a Horo,/ mediante questa lingua a Thot originato da Ptah./ Così accadde che il cuore e la lingua ricevettero il potere discrezionale su tutte le altre membra/ a causa della dottrina, secondo la quale esso [il cuore] governa ogni corpo ed essa [la lingua] ogni bocca/ di tutti gli dèi, di tutti gli uomini,/ di tutti gli animali e di tutti i vermi, che lì vivono/ poiché [il cuore] tutto pensa e [la lingua] ordina tutto ciò che essi/ desiderano./ La sua Enneade era dinnanzi a lui/ come denti, ossia il seme di Atum,/ e come labbra, ossia le mani di Atum./ Era così nata l’Enneade di Atum/ mediante il suo seme e le sue dita./ L’Enneade è in verità denti e labbra/ in questa bocca che ha pronunciato i nomi di tutte le cose,/ da cui Shu e Tefnet sono usciti, colei che ha creato l’Enneade./ Che gli occhi vedano, le orecchie odano/ e il naso respiri l’aria, sia riferito al cuore l’annuncio./ Questo è colui che fa nascere ogni cosa./ La lingua è colei che ripete ciò che è pensato dal cuore. (Righe 53-55, Junker 1941, pp. 39, 48, 55, 58)
‘Fallo’ e ‘mano’, che tramandano i simboli corporei dell’azione creatrice, sono interpretati come ‘denti’ e ‘labbra’; i veri organi creativi sono comunque il cuore e la lingua. Poiché gli Egizi non tracciano alcun confine netto tra ‘corpo’ e ‘spirito’, anche la conoscenza e il linguaggio sono intesi come fenomeni fisici. La conoscenza nasce nel cuore sulla base dei dati sensoriali che gli vengono trasmessi ed è poi articolata dalla lingua.
L’interpretazione menfita della cosmogonia eliopolitana si sviluppa sul mistero del momento cosmogonico. ‘Seme’ e ‘mani’ sono interpretati come ‘denti’ e ‘labbra’, e dunque l’immagine della masturbazione è sostituita dall’atto del parlare. Il monumento della teologia menfita è la più elaborata rappresentazione egizia di una creazione mediante la parola, la quale differisce da quella biblica in due punti. Il primo punto è il ruolo del cuore, o per meglio dire di una concezione pianificatrice della creazione, di cui non si fa menzione nella Bibbia.
L’altro punto è il ruolo della scrittura (i geroglifici), che è menzionata due volte; osserviamo che l’espressione usata dagli Egizi per indicare la scrittura geroglifica (mdw-nṯr) significa letteralmente ‘parole di dio’. Questi due punti dipendono strettamente l’uno dall’altro, poiché il cuore non concepisce l’aspetto fonetico delle cose, bensì il loro ‘concetto’, la loro ‘forma’, che viene restituita dalla scrittura geroglifica la quale attraverso la forma si riferisce al concetto. La lingua dà espressione vocale ai concetti che sono concepiti dal cuore e resi visibili dalla scrittura geroglifi
E allora nacquero tutti gli dèi,/ che sono Atum e la sua Enneade./ Egli originò anche tutti i geroglifici/ mediante ciò, quello che fu pensato dal cuore e ordinato dalla lingua./ […] Così vennero create tutte le opere e le arti,/ l’operare delle braccia e l’andare delle gambe,/ il movimento di tutte le membra in conformità alla sua disposizione/ di queste parole, che dal suo cuore furono pensate e dalla sua lingua esternate e/ che creano il sostentamento di tutto/ […]/ Così fu trovato e conosciuto/ che la sua forma è più grande di quella propria di tutti gli altri dèi./ E così Ptah fu felice, dopo che ebbe creato tutte le cose/ e tutti i geroglifici,/ dopo che ebbe formato gli dèi,/ dopo che ebbe fondato le loro città/ e fissato i loro distretti,/ dopo che ebbe stabilito le loro offerte alimentari/ e fondato le loro cappelle,/ dopo che ebbe formato i loro corpi a lui conformi, così che furono felici./ E così gli dèi entrarono nel loro corpo/ in ogni tipo di legno e minerale,/ in ogni suono e in tutte le altre cose, che crescono in lui,/ dal quale esse sono originate./ E così si radunano tutti gli dèi e i loro ka attorno a lui/ felici e stretti nel Signore delle due Terre. (Righe 56-61; Junker 1941, pp. 59, 62, 63, 65, 66
Ptah è il dio degli artisti e degli artigiani e grazie a lui le cose acquisiscono la loro forma costante, raffigurata nei segni della scrittura ed eternamente riprodotta nella nascita e nella morte degli oggetti e degli esseri viventi. Thot, il dio della ‘lingua’ intesa come organo corporeo, è qui anche il dio della scrittura geroglifica ed è capace di trasformare i pensieri del cuore in linguaggio parlato e scritto. La creazione è un atto di articolazione mentale, figurativa e fonetica. Insieme alle cose e ai loro nomi nascono anche i loro segni grafici:
“E così Ptah fu felice, dopo che ebbe creato tutte le cose/ e tutti i geroglifici”.
La totalità della creazione è riassunta nell’espressione “tutte le cose e tutti i geroglifici”. La teoria di Menfi mette in evidenza la forma grafica del mondo, interpretandolo come un testo, che Ptah ha concepito nel cuore e ha pronunciato per mezzo della lingua. Un testo nel quale Ptah si è realizzato nella realtà visibile attraverso la forma delle cose, a sua volta corrispondente ai geroglifici. Questa ardita ideazione viene esposta sempre in relazione con la teoria eliopolitana e quindi la si può ritenere un commentario, un atto di ricezione interpretativa.
La differenza decisiva tra ilTesto della teologia menfita relativo alla creazione e la precedente dottrina cosmogonica eliopolitana consiste nel diverso rilievo dato allo spirito (ossia al ‘cuore’) e al linguaggio (alla ‘lingua’ come organo fisico), al piano e all’ordine. Non si tratta però tanto di una delimitazione polemica quanto di un’evoluzione successiva. Già nei Testi dei sarcofagi del Medio Regno, la cosmogonia eliopolitana aveva subito una sorta di interpretazione allegorica, che ricordava l’interpretazione dei miti di Plutarco. Shu ‒ l’aria ‒ era descritto come “vita” e Tefnet ‒ il fuoco o la luce ‒ come “verità”.
“Io sto nuotando e sono molto stanco,/ le mie membra [?] sono pesanti./ Mio figlio Vita è ciò che solleva il mio cuore [ossia ‘desta la mia coscienza’] / Egli vivificherà il mio spirito, dopo aver raccolto queste/ mie membra, che sono molto stanche.”/ Allora il Nun [le acque primordiali] parlò ad Atum:/ “Bacia tua figlia Maat, dalla al tuo naso !/ Il tuo cuore vive se ella non si allontana da te./ Maat è tua figlia,/ insieme a tuo figlio Shu,/ il cui nome è Vita./ Tu mangerai da tua figlia Maat;/ tuo figlio Shu, egli ti solleverà. (de Buck 1935-61, vol. II, pp. 34g-35h [80]; cfr. Bickel 1994, pp. 48-49)
Allora disse Atum “Tefnet è la mia figlia viva,/ ella è insieme a suo fratello Shu./ Vita è il suo [di Shu] nome,/ Maat è il suo [di Tefnet] nome./ Io vivo insieme ai miei due figli,/ insieme ai miei gemelli,/ tra i quali io sono,/ l’uno sulla sua schiena, l’altra sul mio ventre./ Vita dorme con mia figlia Maat,/ una in me, uno attorno a me,/ io mi sono sollevato tra di loro, poiché le loro braccia mi avvolgevano”. (de Buck 1935-61, vol. II,pp. 32b-33a [80]; cfr. Bickel 1994, pp. 49-51)
In un livello successivo dell’interpretazione, in uno stesso testo, Shu-Vita e Tefnet-Maat sono indicati anche come “Neheh-Eternità” e “Djet-Eternità”:
“Poiché Shu è Neheh, Tefnet è Djet” (de Buck 1935-61, vol. II, p. 28d [80]; cfr. Bickel 1994, p. 134); “Io sono Neheh, il padre degli dèi Heh, mia sorella Tefnet è Djet” (de Buck 1935-61, vol. II, p. 22a; p. 23a,c [78]; cfr. Bickel 1994, pp. 134-135).
Neheh e Djet sono concetti che indicano la quantità e l’immensità del tempo. Perciò Neheh indica l’incessante movimento del tempo che ruota su sé stesso, Djet l’infinita e costante durata di ciò che si è realizzato e compiuto nel tempo. Secondo questa interpretazione, dunque, il tempo ha origine contemporaneamente alla luce, nei suoi due aspetti di ripetizione ciclica e di stabile durata. La preesistenza qui viene interpretata come inconsapevole movimento del dio primordiale Atum nel flusso primordiale, nel Nun, al quale sono associati, come ulteriori aspetti del caos originale, la tenebra (Kuk), l’eternità (Huh) e l’assenza di strade (Tenemu). L’attimo cosmogonico è descritto come il momento in cui Atum perviene alla coscienza e passa dalla stanchezza, che lo rende incapace di agire, alla consapevolezza, alla volontà e all’azione.
Questo momento dell’autocreazione è caratterizzato come ‘autotriplicazione’,
“quando egli era l’Uno e divenne Tre” (de Buck 1935-61, vol. II, p. 39e [80]; cfr. Bickel 1994, p. 79).
I testi chiariscono che questo processo non deve assolutamente essere rappresentato come se si trattasse di procreazione o di nascita, poiché come afferma il dio dell’aria Shu:
“Non mi ha fatto nascere attraverso il suo pugno, non mi ha reso gravida col suo pugno” (de Buck 1935-61, vol. I, p. 354c; cfr. Bickel 1994, p. 79).
Si è sempre dato per scontato che questa affermazione si rivolgesse contro la cruda immagine della masturbazione, ma al riguardo l’egizio non si è mai scandalizzato. Ciò che qui viene rifiutato è piuttosto l’idea che Atum avrebbe creato Shu e Tefnet. Il momento cosmogonico non deve essere pensato come una creazione ma come una automanifestazione. Shu e Tefnet erano accanto ad Atum prima del mondo intero e hanno formato con lui l’Unità primordiale, che poi è divenuta trina.
In questi testi però non si trova ancora nulla di quella intenzionalità sistematica propria della cosmogonia menfita. In essi il mondo, sulla base di un modello ‘biomorfo’, nasce come involontaria e istintiva escrezione e automoltiplicazione. Il concetto centrale della cosmogonia eliopolitana è ḫpr ‘divenire, nascere da, emanare, svilupparsi, assumere una forma, trasformarsi’.
Illocus classicus di questa dottrina è il Libro del conoscere il ḫprw [divenire] di Ra, che è tramandato da un papiro magico-cultuale di Epoca Tarda. In questo testo la concezione eliopolitana viene estesa all’elemento dell’intenzionalità e al motivo del cuore pianificatore:
Libro del conoscere il ḫprw [divenire] di Ra e le trappole di Apofi. Da dire:/ Il Signore del Tutto parla dopo aver assunto la forma:/ Io sono colui che nacque come Khepri,/ come nacqui, si formò la creazione./ Tutto il creato ebbe origine, dopo che io sono sorto./ Fu copioso ciò che nacque, poiché uscì dalla mia bocca,/ ancor prima ebbe origine il cielo, ancor prima si formò la Terra,/ prima il suolo e i vermi furono creati in questo luogo./ Io mi consolidai in loro nelle acque primordiali e nell’inerzia/ senza ancora avere trovato un luogo su cui fossi potuto stare./ Divenni akh-attivo mediante il mio cuore,/ progettai mediante il mio volto,/ prima ancora di aver espettorato Shu e sputato Tefnet,/ ancor prima che fosse creato un altro, che avesse agito insieme a me./ Pianificai con il mio proprio cuore/ e una folla di creature originò dalla creazione/ mediante il sorgere del partorire/ e da quello, ciò che provenne dal loro partorire. (Abrasax 1991, vol. II, pp. 1-31)
A ciò segue un lungo racconto, nel quale è trattata la cosmogonia vera e propria, che si svolge nei seguenti stadi (v. anche tab. 1): (1) autosoddisfazione attraverso la masturbazione; (2) autotriplicazione mediante l’escrezione di Shu e Tefnet; (3) origine del genere umano dall’occhio che piange; (4) nascita del potere quando l’occhio si alza verso il serpente posto sulla fronte del demiurgo (diadema del potere); (5) nascita di Geb e Nut da Shu e Tefnet; (6) nascita di Osiride, Iside, Seth, Nefti e Horo, da Geb e Nut.
Il papiro contiene ancora una seconda versione, più dettagliata, di questo testo, che inizia nel modo seguente:
Libro del conoscere il ḫprw [divenire] di Ra e la trappola di Apofi:/ da dire:/ il Signore del Tutto parla: come io nacqui la creazione originò./ Io sono sorto nella forma di Khepri,/ che è sorto per la prima volta./ Io sono sorto nella forma di Khepri./ La mia sortita significa che la creazione sorse,/ poiché io ero là prima dei tempi primordiali, che io ho creato […]/ Io ho fatto tutto ciò che volevo in questa terra./ Io mi sono espanso in essa, ho stretto la mano quando ero solo,/ quando essi non erano ancora nati, quando io non avevo ancora espettorato Shu/ e non avevo ancora sputato Tefnet./ Io stesso ho prodotto la mia bocca/ magia è il mio nome./ Io sono colui che è sorto nelle forme/ poiché originai nella forma di Khepri./ Io sono sorto sotto i tempi remoti (io sono sorto contemporaneamente ai tempi primordiali)/ così che una folla di creature ebbe origine al principio,/ ancor prima che una delle creature fosse originata su questa Terra./ Io ho formato ciò che esiste quando ero solo,/ quando niente altro era formato, che fosse con me creato in quel luogo/ nel quale mi sono trasformato in questo mio ba,/ nel quale mi sono rinforzato nel Nun e nell’inerzia,/ ancor prima che trovassi un luogo, nel quale poter stare./ Divenni akh-attivo con il mio cuore,/ pianificai con il mio volto./ Io ho creato un’altra forma,/ affinché fossero numerose le forme di Khepri./ Là ebbero origine i loro parti/ in forma dei loro figli. (ibidem)
Segue una versione ancora più dettagliata degli stessi sei stadi della cosmogonia. Questo testo è una fuga sul tema ḫpr, ‘l’origine, l’assunzione di una forma’. Il mondo nasce con l’autocreazione di un dio, che nel processo della sua creazione si trasforma in questo mondo e poi gli dà una forma nell’ambito del suo cosciente tornare a sé pianificante (snṯı̓) e creativo (ı̓rı̓). In seguito il mondo continua a svilupparsi ulteriormente in modo spontaneo attraverso l”altra forma’ della riproduzione sessuale (msı̓).
Le teorie tebane del periodo ramesside, che riguardano la creazione, sviluppano i principî eliopolitani in un’altra direzione, che evidentemente si basa sulle concezioni cosmogoniche del periodo di Amarna. Akhenaton aveva ricondotto l’intera realtà fenomenica all’operato del Sole, che con il suo irradiamento creava la luce e il calore, e attraverso il suo movimento dava luogo al tempo e all’evoluzione. Tuttavia questo modo di creare era indicato da Akhenaton con il concetto di ḫpr, ricollegandosi così strettamente all’insegnamento cosmogonico eliopolitano. La totalità del mondo percettibile è designata come una metamorfosi o una realizzazione del dio.
“Tu esegui milioni di trasformazioni, nelle quali sei l’Unità:/ città, paesi, terreni,/ strada e fiume” (Ägyptische Hymnen und Gebete, nr. 92, 115-117).
In questo testo il rapporto tra dio e il mondo non è dato né nella forma tradizionale di una reciproca modellazione fra mondo divino e quello umano, né nella forma biblica di una separazione rigorosa tra creatore e creazione, bensì come una compenetrazione così stretta da apparire quasi panteistica. Il confronto tra ‘milioni’ e ‘unità’ formula un concetto di unità-totalizzante che nell’epoca ramesside giocherà un ruolo centrale
Categorie:C01.04- Teologia e mitografia egizia
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