B. Eichenbaum, Com’è fatto Il Cappotto di Gogol
I
La struttura di una storia dipende in gran parte dal ruolo giocato dal ‘tono personale’ dell’autore, se esso crea l’illusione dello skaz (tipo di narrazione letteraria che mima la viva narrazione d’un testimone o partecipe del fatto, solitamente contadino o uomo del popolo, attraverso l’uso di forme ed espressioni del parlato, del dialetto o di linguaggi tecnici, tipici del mondo che si vuole rappresentare) o se ha la semplice funzione di collegare gli eventi. La storia primitiva, così come il romanzo d’avventura o la storia comica, non hanno skaz e non ne necessitano. Caso diverso è se l’autore si pone in primo piano e sembra usare la trama solo per intrecciare espedienti stilistici, così che il centro di gravità sia spostato dalla trama agli espedienti dello skaz, e il ruolo più importante appartenga alle parole. Due tipi di skaz comici possono essere distinti: 1) quello che narra, confinato agli scherzi, ai giochi di significato, che crea l’impressione di un flusso di parole; 2) quello che riproduce, che introduce espedienti di mimica verbale e giochi di parole basati sui suoni, che sembra stia mascherando un attore e la sua recitazione. Gogol è un narratore atipico: fa uso della mimica, dei gesti e delle smorfie. Non si limita a raccontare, ma rappresenta e teatralizza. In Gogol la struttura non è determinata dalla trama, anzi non vi è proprio alcuna trama, ma solo alcune situazioni comiche che servono da pretesto per l’elaborazione di espedienti comici. Il Naso sviluppa un singolo evento in forma di aneddoto, Matrimonio e Ispettore Generale mostrano una situazione che non cambia. Gogol si sentiva limitato dalla necessità di aver sempre qualcosa somigliante ad una trama, così spesso chiedeva ad altri di mandargli spunti per degli aneddoti. Gogol era famoso per la sua abilità nel leggere ad alta voce le sue opere, non solo per il modo con cui articolava ogni parola, ma anche per le diverse intonazioni che adoperava. Da ciò si evince che aveva sia uno stile declamatorio, sia uno skaz “mimetico”, fatto di gesti. Panayev, che considerava Gogol un lettore inimitabile, raccontò di quando egli sorprese il suo pubblico passando improvvisamente da una conversazione ordinaria ad un vero e proprio atto di recitazione. Anche quando dettava, Gogol forniva un vero e proprio spettacolo, “la sua dettatura raggiungeva un’altissima intensità emozionale”, scriveva Annekov. Tutto questo indica che la base del testo gogoliano è lo skaz, ed è fatto di elementi del parlato e di emozioni verbalizzate. Ancor più, questo skaz non narrava semplicemente, ma riproduceva le parole con enfasi sui suoni mimetici ed articolati. Le diverse frasi sono accostate non secondo principi del discorso semplice, ma più secondo principi del discorso espressivo, dove suoni articolati, mimica e gesti fonici giocano un ruolo importante: la cosiddetta ‘semantica del suono’ del linguaggio di Gogol. Da ciò capiamo perché egli amasse così tanto soprannomi e nomignoli, che li cercasse ovunque e divennero per lui un qualcosa di evocativo, attitudine questa volta ad un puro effetto comico, che pone le basi per un’opera sulle parole. Talvolta sceglie di proposito nomi che realmente esistono, altre volte adopera i nomi per creare pun (giochi di parole). Così in Gogol la trama è di seconda importanza ed è principalmente statica, mentre l’unica forza dinamica resta il modo in cui lo skaz è messo assieme e i giochi di linguaggio. Da questo punto di partenza, proviamo a far luce sulla struttura de Il Cappotto. Esso combina un puro skaz comico, contenente tutti i giochi verbali caratteristici di Gogol, con uno stile fortemente emozionale e declamatorio.
II
Un ruolo importante è giocato dai pun di vario tipo, specialmente all’inizio, costruiti su similarità di suoni o su giochi di etimologie. I pun etimologici sono i preferiti di Gogol, e per adoperarli spesso utilizza speciali soprannomi, così la scelta dell’ultimo nome di Akaky Akakievich è ricaduta su Bashmachkin principalmente per la sua predilezione verso i suffissi diminutivi. Il pun creato tramite questo nome è reso più complesso dagli espedienti comici che lo fanno sembrare completamente serio, “il nome deriva dalla parola che indicava le scarpe
[bashmak], in quanto tutti i Bashmachkin indossavano stivali, risolandoli circa tre volte all’anno”. L’espediente di ridurre qualcosa all’assurdità o di adoperare una illogica combinazione di parole si incontra spesso in Gogol, ma è spesso mascherato da una sintassi rigorosamente logica così da creare spesso l’impressione di non essere una cosa voluta intenzionalmente. Un altro espediente utilizzato da Gogol è il pun basato sugli effetti sonori, da qui la sua predilezione per termini e nomi “senza significato”, parole che trascendono il significato e aprono ad una semantica del suono: Akaky Akakievich è scelto deliberatamente per la sua sonorità, così come altri nomi in Gogol, per esempio Mokky, Sossy o Varakhasy. L’effetto comico di questi nomi non nasce dal loro essere insoliti, ma piuttosto in quanto è come se portassero in sé un significato che dipende dal loro suono. Un passaggio de Il Cappotto interessante sotto questo aspetto è quando Akaky fa la sua apparizione, passaggio che si conclude con la parola “emorroidale”, posta proprio alla fine per acquisire maggior forza emozionale ed espressiva, e viene percepita come gesto fonico, indipendente dal suo proprio significato. Nella descrizione di Akaky, le parole sono poste in un determinato ordine, non in accordo con la sua delineazione caratteriale, ma con i principi della semantica del loro suono, così che quello che rimane della frase è l’impressione di un certo ordine di suoni, che culmina con la parola “emorroidale”. Gogol spesso affianca parole solo per l’effetto armonico che creano, e questo è uno dei più significativi effetti del linguaggio gogoliano. In Gogol non vi è un livello neutrale del linguaggio, ma un intonazione molto intensa si alterna a suoni mimetici ed articolati, dando così forma alla frase. I lavori di Gogol presentano spesso questa alternanza, riscontrabile anche ne Il Cappotto, dove sono presenti anche periodi molto lunghi dove l’intonazione sale fino ad un punto di enorme tensione, che si risolve però con inaspettata semplicità, e tutto ciò è volto a creare un effetto comico, che si amplifica ancora di più grazie alla scelta di parole prosaiche che sembrano essere deliberatamente in discordanza con la struttura della sintassi. Spesso le parole che Gogol adopera risultano strane, enigmatiche, sembrano suonare non familiari o inventate da lui stesso per la prima volta. Il Cappotto contiene anche un altro tipo di stile declamatorio, che sembra essere un intruso nello stile generale su cui è basata l’opera: lo stile sentimentale e melodrammatico, il famoso passaggio “umano”. Tali elementi di declamazione emozionale danno ancora maggior complessità allo stile puramente aneddotico. Gogol dà ai suoi personaggi de il Cappotto poco da dire, e il loro linguaggio non sembra mai comunque un linguaggio comune, quotidiano, così anche il linguaggio di Akaky è parte del sistema generale del linguaggio gogoliano: lui si esprime principalmente con preposizioni, avverbi e particelle che spesso sono senza senso, al contrario del sarto Petrovich, che si esprime con parole condensate, solide, spesso tramite contrasti, non contenendo comunque tracce di linguaggio quotidiano. Lo stesso linguaggio di Gogol, il suo skaz, è artificioso allo stesso modo. Ne Il Cappotto emergono nel modo più naturale possibile dettagli che risultano superflui, mentre magari poco dopo il tono si fa più familiare. Espressioni come “qualche…o altro”, “si sa poco, sfortunatamente”, “non si sa niente”, “non ricordo” creano l’illusione che l’intera narrazione sia una storia reale, di cui neanche il narratore conosce ogni dettaglio. È chiaro che la trama de Il Cappotto derivi da una “storia di ufficio” su un povero impiegato, ma nella versione finale Gogol abbellì la storia con pun e aneddoti, introducendo anche uno stile declamatorio, così da rendere la struttura originaria più complessa. Il risultato di ciò è un grottesco nel quale la mimica della risata di alterna con quella della sventura.
III
Andiamo ad analizzare il metodo di base tramite cui i singoli espedienti sono collegati. Sotto questa struttura vi è lo skaz, che non è una vera e propria narrazione, bensì mimesi e declamazione. Qual è lo scenario dunque? All’inizio l’introduzione si stoppa improvvisamente e, sebbene il lettore si aspetti una maniera narrativa epica, tipica del narratore, ecco che giunge invece un tono di sarcasmo e irritazione esagerata; abbiamo così l’impressione di
un’improvvisazione, in quanto la maniera iniziale di narrazione lascia spazio a varie digressioni. Successivamente troviamo un tono personale, con tutti gli espedienti dello skaz gogoliano, che accresce la componente grottesca nei personaggi. Questo prepara alla transizione verso il pun sul cognome e sulla storia della nascita e del battesimo di Akaky. Con la frase “ma lui non rispose una singola parola” lo skaz comico è improvvisamente interrotto da una digressione sentimentale e melodrammatica, in stile sentimentalista. Con quest’ultimo espediente Gogol riesce ad elevare Il Cappotto dal livello di semplice aneddoto a quello di grottesco. Questo passaggio allo stile sentimentalista è reso anche grazie ad un’intonazione più intensa, più solenne ed emotiva. Il risultato di tutto ciò porta all’espediente della cosiddetta “illusione teatrale”, quando l’attore sembra improvvisamente uscire dal suo ruolo per parlare come una persona reale. In questi passaggi noi non possiamo vedere se non un espediente artistico, non possiamo infatti identificarli con la psicologia dello scrittore, e in questo senso la mente dell’artista deve rimanere fuori dai confini di ciò che lui crea. La cadenza delle frasi altamente melodrammatica serve anch’essa per rinforzare il grottesco. “Il povero giovanotto si copriva allora la faccia con una mano e in seguito molte volte trasalì nella sua vita, vedendo quanta disumanità ci sia nell’uomo, quanta furiosa volgarità si nasconda nella personalità più raffinata e colta, e, Dio! persino in individui che il mondo reputa nobili e onesti”. Questo è un esempio di come un episodio melodrammatico venga usato per contrastare lo skaz comico. Dopo aver descritto come Akaky mangi e si fermi solo quando il suo stomaco inizia a “ingrossarsi”, Gogol ancora si lancia nello stile declamatorio, ma di un tipo diverso: adotta infatti un’intonazione smorzata e misteriosamente seriosa. La disparità tra l’intonazione solenne e seriosa di una frase e il significato della stessa è spesso impiegata come altro espediente grottesco. Il modello stabilito nella prima parte, dove uno skaz puramente aneddotico è alternato con una declamazione ti tipo solenne e melodrammatico, è decisivo per tutta la stesura de Il Cappotto come grottesco. Lo stile grottesco richiede per prima cosa che la situazione o l’evento descritto possa essere incluso in un piccolo mondo fantastico di esperienze artificiali, completamente isolato dalla realtà e dalla vita interiore; in secondo luogo richiede che ciò possa essere fatto non con un intento didattico o satirico, ma che permetta di giocare con la realtà stessa, di romperne gli elementi e ridisporli liberamente. Ciò che Gogol trova notevole in questa storia su un impiegato è appunto questo complesso di pensieri, emozioni e desideri, che è fantasticamente limitato e chiuso in sè stesso, entro i cui confini lo scrittore può esagerarne i dettagli e violare le normali proporzioni del mondo. Il punto centrale certamente non è l’”insignificanza” di Akaky, ma piuttosto l’abilità di Gogol di collegare quanto non può esser collegato, di esagerare ciò che è piccolo e diminuire ciò che è grande, insomma lui è abile a giocare con tutte le norme e le leggi che regolano la vita interiore. La vita interna di Akaky non è insignificante ma, come detto prima, è fantasticamente limitata, il suo è un mondo con le sue leggi e le sue proporzioni, un mondo dove avere un nuovo cappotto è considerato un evento grandioso. Questa iperbole grottesca si dispiega contro lo skaz comico di sfondo, con pun, parole umoristiche, espressioni, aneddoti… I quali sono accompagnati da citazioni “dall’autore”, in tono informale. La morte di Akaky è descritta grottescamente, come la sua nascita, con l’alternanza di dettagli comici e tragici. Si riscontra poi una nuova declamazione melodrammatica che ci riporta al passaggio “umano”: “E Pietroburgo rimase senza Akaky Akakievic, come se mai fosse esistito”. Il finale de Il Cappotto è l’apoteosi del grottesco, anche se esso non è più fantastico o romantico della storia tutta, al contrario, qui la storia emerge in un mondo di concetti ed eventi più normali, anche se ogni cosa è trattata come fosse un gioco con la fantasia. Troviamo anche un espediente grottesco “al rovescio”, nella scena finale del poliziotto e del fantasma che svanisce nell’oscurità, aneddoto questo che ci allontana dalla “storia patetica” fatta di episodi melodrammatici. Lo skaz comico incontrato all’inizio infatti ritorna, con tutti i suoi espedienti. La scena muta finale ci riporta indietro all’inizio dell’opera.
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