
Il Canto notturno viene composto a Recanati, tra l’ottobre 1829 e i primi giorni di aprile del 1830.
Secondo una nota dello Zibaldone (3 ottobre 1828) l’ispirazione giunge a Leopardi dalla lettura di un articolo del barone di Meyendorff (Voyage d’Orenbourg à Boukhara fait en 1820), pubblicato dal «Journal des Savants» nel settembre del 1826. Affascinato dall’argomento esotico, Leopardi aveva trascritto nello Zibaldone, in data 3 ottobre 1828, un passo del resoconto, nel quale era descritta la consuetudine dei pastori nomadi Kirghisi di passare la notte seduti su una pietra a guardare la luna e a improvvisare canti. L’argomento non poteva non interessarlo, perché da tempo il poeta rifletteva sulla saggezza ‘pura’ dei primitivi in antitesi a quella, corrotta, dei moderni. Il canto appartiene al cosiddetto ciclo pisano-recanatese. Compare poi nell’edizione fiorentina dei Canti (1831).
Con i cosiddetti “grandi idilli”, di cui Canto notturno di un pastore errante dell’Asia fa parte, Leopardi torna alla poesia, dopo l’intervallo di sei anni delle Operette morali. Queste poesie, a differenza degli idilli giovanili, sono pervase dalla consapevolezza dell’”arido vero”, causata dalla fine delle illusioni giovanili.
Lo stile del componimento Canto notturno di un pastore errante dell’Asia è quello tipico dei grandi canti del 1828-30, con molti termini “vaghi e indefiniti”, ritmo fluido, struttura sintattica chiara, ma è assente la memoria delle illusioni giovanili. L’unico tratto regolare della struttura metrica è la costante rima in “ale” – che riguarda tutte le frasi topiche e proverbiali – la quale mette in evidenza le parole chiave del canto e, secondo il critico Fubini, conferisce “il sapore musicale di un’antichissima nenia”.
Metricamente, il canto è impostato come canzone libera, formata da sei stanze di versi endecasillabi e settenari liberamente rimati; l’ultimo verso di ogni stanza esce sempre in -ale e rima con un verso precedente, senza però uno schema fisso. L’alto numero di versi settenari conferisce al testo un ritmo veloce e particolarmente incalzante, specie nelle stanze 2-3 in cui i versi brevi si succedono consecutivi (riproducono il procedere affannoso del “vecchierel” e le domande angosciose sul senso della vita umana).
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