Storia generale della Letteratura russa
1. Dalle origini al 16° secolo
1.1 La letteratura slavo-ecclesiastica
Dal momento dell’assunzione del cristianesimo di Bisanzio come religione di Stato (988) da parte di Vladimiro I il mondo slavo ortodosso ha un destino storico diverso e separato da quello romano-germanico, pur restando nell’ambito di una grande civiltà europea, quella bizantina, di cui raccoglie l’eredità. Nuclei cristiani esistevano anche prima del 988 nel territorio della Rus´: nell’863, su richiesta del principe Rostislao di Moravia, l’imperatore romano d’Oriente aveva inviato nella Grande Moravia i fratelli di SaloniccoCirillo e Metodio per evangelizzare gli Slavi; la lingua liturgica usata nella loro predicazione, per la quale crearono un apposito alfabeto, divenne la lingua letteraria comune a tutti gli Slavi ortodossi, oggi nota come slavo ecclesiastico o paleoslavo, mentre il russo era, nella Rus´, la lingua dell’amministrazione e del diritto. La tradizione cirillo-metodiana fu conservata durante il regno di Boris di Bulgaria e di suo figlio Simeone, e proprio dalla Bulgaria molti testi giunsero nella Rus´ di Kiev prima ancora del 988.
Dopo il battesimo della Rus´ Vladimiro I creò alcune scuole dove si insegnava lo slavo-ecclesiastico, formando un ceto istruito che negli anni successivi cominciò a produrre traduzioni e anche una letteratura originale. Una parte considerevole della letteratura russa antica è formata da traduzioni della patristica greca, da testi sacri e liturgici bizantini, da apocrifi; erano noti padri della Chiesa orientale e scrittori ecclesiastici bizantini come Basilio di Cesarea, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, né mancavano scritti di carattere secolare, storico, scientifico. Le traduzioni di singole opere sono rare, più frequenti le crestomazie. Tra le opere agiografiche vanno ricordati i Pateriki(«Vite dei padri»), tradotti dal greco oppure originali, come il Paterik del monastero delle Grotte di Kiev, e i Čet´i minei («Letture mensili» o «Menologi»). La datazione precisa dei testi più antichi è difficoltosa, perché quasi tutti ci sono giunti in redazioni successive. Nel 1073 e nel 1076 furono copiati per il principe Svjatoslav di Kiev gli Izborniki («Raccolte»), che contenevano, accanto a opere religiose, anche scritti di retorica, aforismi, aneddoti didascalici. La tradizione cronachistica bizantina fu presto nota attraverso le versioni slave delle cronache di Giovanni Malala e di Giorgio Monaco; assai diffusa fu la Guerra giudaicadi Flavio Giuseppe. La Pčela («L’ape»), raccolta di detti, proverbi, aneddoti, e il Fiziolog(«Fisiologo») attestano la diffusione del gusto enciclopedico. A volte le traduzioni colmano alcuni vuoti nell’area greca; così la storia di Akir premudryj («A. il saggio») è pervenuta in versione russa, mentre la tradizione greca è andata perduta.
1.2 La nascita di una letteratura propria
Primo documento autonomo della letteratura della Rus´ è considerato lo Slovo o Zakone i Blagodati («Sermone sulla Legge e sulla Grazia», 1050 ca.), attribuito a Ilarione, metropolita di Kiev, che dimostra una notevole padronanza dell’arte oratoria e un uso sapiente dello slavo ecclesiastico. Lettere private, testamenti, documenti vari dei secoli 11°-15° sono contenuti nelle iscrizioni su corteccia di betulla di Novgorod, scoperte nel 1951.
I tentativi di creare una letteratura propria, non di pura imitazione, presentano un rilevante interesse storico e letterario, e costituiscono un gesto di autonomia politica e culturale da Bisanzio. Significativo, sotto questo aspetto, lo Skazanie o Borise i Glebe(«Narrazione di Boris e Gleb», 12°-13° sec.), storia dei figli del principe Vladimiro, divenuti i primi santi russi ufficialmente riconosciuti da Bisanzio. Lo skazanie, insieme con lo slovo, la letopis´, la povest´, l’istorija, è una delle numerose forme di narrazione storica della letteratura russa antica. Le cronache, divise per anni, formano l’importante filone dell’annalistica locale e incorporano anche testi di genere diverso; la più antica tra quelle pervenuteci è quella di Nestore (12° sec.), nota come Povest´ vremennych let («Cronaca degli anni passati»), basata su cronache precedenti.
Di carattere laico, sebbene ispirato a principi religiosi, è il Poučenie («Ammaestramento»), sorta di testamento spirituale scritto dal principe Vladimiro II Monomaco per i suoi figli (inizio 12° sec.).
Un altro genere letterario diffuso è il ‘pellegrinaggio’, inaugurato dal Choždenie dell’igumeno Daniil Palomnik in Terrasanta, resoconto di un viaggio compiuto tra il 1106 e il 1108, che unisce una precisa descrizione della Palestina a copioso materiale leggendario. Uno dei rarissimi testi di contenuto puramente laico del periodo premongolico è il Molenie(«Supplica») che Daniil Zatočnik («il prigioniero») rivolge al principe di Perejaslavl´ Severnyj. La Russkaja pravda («Giustizia russa») servirà da modello alle successive raccolte di leggi.
Slovo o polku Igoreve(«Canto della schiera di Igor´»)
L’opera più preziosa, più studiata e discussa dell’antica letteratura russa è lo Slovo o polku Igoreve («Canto della schiera di Igor´», fine 12° sec.), storia della campagna che il principe di Novgorod-Severskij, Igor´ Svjatoslavič, condusse nel 1185 contro i Cumani e della battaglia in cui venne sconfitto e cadde prigioniero. Per il respiro storico, la sapienza stilistica, la forza oratoria, il poema segna il culmine della letteratura del 12° sec. e chiude gloriosamente il periodo che precede la conquista mongola.
1.3 Il dominio mongolo-tataro
Durante la dominazione tatara i generi prevalenti sono le vite di martiri della fede, accanto alle storie di battaglie e di sconfitte, pervase dal sentimento di colpa per le divisioni che hanno provocato il castigo divino e dal desiderio di espiazione. Tali sono i numerosi racconti sull’invasione tatara, come lo Slovo o pogibeli russkoj zemli («Canto sulla rovina della terra russa») e la Povest´ o razorenii Rjazani Batyem («Racconto sulla distruzione di Rjazan´ da parte di Batyj»). Dopo la caduta di Kiev si formano nuovi centri politici e culturali, cresce l’importanza di Tver´, i legami tra la R. meridionale e il resto del paese s’indeboliscono, il principato di Mosca acquista un ruolo crescente. In seguito alla battaglia di Kulikovo, sul Don (1380), prima vittoria dei Russi guidati da Dmitrij Donskoj contro l’Orda d’Oro in una lotta che si protrarrà ancora per un secolo, si spezza in parte l’isolamento e si riprende un’intensa opera di traduzione: è l’epoca della seconda influenza slava meridionale, quando i sottili e stilisticamente raffinati trattati dei mistici bulgari e serbi penetrano in Russia. Numerose, nel 14° e 15° sec., le storie della battaglia di Kulikovo; la più nota è la Zadonščina («L’epopea d’oltre Don», fine del 14° sec.), di cui sarebbe autore, secondo alcuni manoscritti, Sofonija, un religioso di Rjazan´. La Zadonščina, oltre a riprendere motivi dell’epica popolare, imita immagini, procedimenti e situazioni dello Slovo o polku Igoreve. Epifanij Premudrij, nella sua vita di Stefano di Perm´ e in quella di Sergio di Radonež, fornisce un alto esempio russo della tecnica dell’‘intreccio di parole’, elaborata originariamente nella scuola bulgara di Tărnovo.
Al di fuori del filone storico e agiografico si situa il Choždenie za tri morja Afanasija Nikitina («Viaggio al di là dei tre mari di Afanasij Nikitin»), resoconto del viaggio avventuroso in Persia e in India compiuto tra il 1466 e il 1472 per scopi commerciali da un mercante di Tver´ che morì sulla via del ritorno. È una sorta di diario vivace, ricco di osservazioni, scritto da un uomo di non grande cultura; un’opera eccezionale in una letteratura dotta d’ispirazione quasi esclusivamente religiosa.
Solo verso la fine del 15° sec., sotto il regno di Ivan III, la Rus´ moscovita diventa un forte Stato unitario e nel 1480 riesce a liberarsi dal dominio dell’Orda d’Oro; la Chiesa russa si stacca da quella bizantina, rivendicando la propria autonomia e proclamandosi erede della missione di Costantinopoli dopo la caduta della città in mano ai Turchi (1453); agli inizi del secolo successivo il monaco Filofej elaborerà la teoria di Mosca terza Roma. Negli scritti di Nil Sorskij, fautore di un monachesimo povero e contrario alla proprietà ecclesiastica di beni materiali, e di Iosif Volockij (entrambi 15°-16° sec.), sostenitore del potere temporale della Chiesa e del diritto dei monasteri a possedere terre e beni, si riflettono le idee delle due principali correnti del monachesimo russo. Maksim Grek (Massimo il Greco, 15°-16° sec.), monaco del Monte Àthos inviato a Mosca per provvedere alla revisione dei testi sacri, è uno dei tramiti dell’influenza occidentale sulla letteratura russa; scrittore fecondo, è autore di un racconto sulla vita e la morte di Savonarola.
Dall’Occidente, dal granducato di Lituania, viene anche I.S. Peresvetov, che conferisce dignità letteraria al genere burocratico della čelobitnaja («lettera di omaggio») e introduce nella letteratura russa la finzione artistica. Spirito innovatore fu anche Ermolaj-Erazm (m. 1550 ca.), autore di un audace progetto di riforme economiche e di un’opera della narrativa antico-russa lontana dagli stereotipi dell’agiografia, la Povest´ o Petre i Fevronii(«Leggenda di Pietro e Fevronia»). Di grande interesse linguistico e storico è la corrispondenza degli anni 1564-79 tra Ivan IV il Terribile e il principe A.M. Kurbskij, fuggito in Lituania per sottrarsi all’ira dello zar. Kurbskij accusa Ivan di aver distrutto il fiore della nobiltà russa ed esibisce la sua cultura letteraria di aristocratico; Ivan sostiene energicamente il suo buon diritto di autocrate, discendente diretto di Cesare Augusto e rappresentante di Dio sulla terra, e si dimostra a sua volta scrittore istintivo, ma colto e abile nel maneggiare il russo e lo slavo ecclesiastico.
Il 16° sec. è caratterizzato da uno sforzo di unificazione della vita politica, economica, religiosa e familiare del paese, condotto anche attraverso l’elaborazione di regole comuni. Il Domostroj («Governo della casa») propone norme di vita familiare valide per tutti i ceti e indica regole di comportamento per i padroni e per la servitù: ordine, pulizia, estrema parsimonia, rispetto delle gerarchie familiari. Scopi analoghi, in ambito religioso, persegue lo Stoglav («Cento capitoli»), raccolta di provvedimenti emanati dal Concilio del 1551 per la formazione del clero e il rafforzamento dell’unità della Chiesa. Coronano quest’opera di sistematizzazione alcune raccolte monumentali di carattere storico e agiografico, come il Licevoj letopisnyj svod («Raccolta illustrata di cronache»), originale summa della storia russa con più di mille illustrazioni; la Stepennaja kniga carskago rodoslovija («Libro dei gradi della genealogia degli zar»), dove si narrano le vite dei singoli zar; i Velikie čet´i minei («Grandi letture mensili»), 12 volumi, uno per mese, redatti dal metropolita di Mosca Macario (1482-1563) e contenenti testi originali e tradotti, vite di santi per ogni giorno dell’anno, secondo il calendario liturgico.
2. Periodo di transizione (17° sec.)
Nel 17° sec. la R., per effetto dei contatti stabiliti attraverso le guerre, il commercio e la diplomazia, esce dall’isolamento aprendo anche la letteratura a influenze europee mediante traduzioni, rifacimenti e l’assimilazione di temi e mezzi espressivi propri della letteratura d’invenzione. La letteratura del primo trentennio del secolo ha come tema centrale gli avvenimenti dell’epoca dei torbidi. Il Chronograf («Cronografo», 1617) costituisce un passo importante sulla via della secolarizzazione della storiografia russa; si attenua la rigida divisione dei personaggi in buoni e cattivi, si cominciano a descrivere caratteri complessi e contraddittori come quello di Boris Godunov. Nel 1631 si trasforma in Accademia il Collegio mogiliano (dal nome del metropolita moldavo P. Movilă, in russo Mogila) di Kiev, dove si insegnano la teologia, la filosofia, ma anche la retorica; l’Accademia favorisce la diffusione della poesia metrica barocca ucraina e introduce a Mosca un nuovo genere letterario, il dramma scolastico. Il barocco russo differisce per alcuni tratti essenziali da quello dei paesi che hanno conosciuto la Riforma e la Controriforma: nell’Europa orientale di civiltà bizantino-slava, che non ha avuto un’esperienza rinascimentale, il barocco si fa parzialmente portatore anche di valori culturali dell’Umanesimo e del Rinascimento.
Il bielorusso S. Polockij può essere considerato il primo poeta del granducato di Mosca, poiché concepisce modernamente la poesia come autonoma forma espressiva e introduce nello Stato moscovita la poesia sillabica di derivazione polacca. Fino al 17° sec., la letteratura scritta si esprimeva in prosa, mentre la poesia popolare, che conosceva da tempo le forme metriche, era soltanto orale. Polockij porta inoltre a Mosca (dove era sorta, sul modello kieviano, l’Accademia slavo-greco-latina) la tradizione del teatro scolastico dei gesuiti, scrivendo commedie in versi di argomento biblico. Il primo dramma è invece l’Artakserksevo dejstvo («Azione di Artaserse»), presentato al teatro di corte russo nel 1672 dal pastore luterano tedesco J.G. Gregori.
Si formano, nel corso del Seicento, generi prosastici di tipo moderno; l’elemento della narratio diventa visibile in opere diverse per genere e stile, come la povest´ di Savva Grudcyn, ricca di elementi popolari, che introduce il tema faustiano del patto con il diavolo, o quella di Karp Sutulov, di intonazione anticlericale, dove si raccontano gli stratagemmi ideati dalla saggia moglie di un mercante per difendere la propria virtù, o ancora la povest´ satirica di Erš Eršovič, che ha per protagonisti dei pesci, testimoniando l’inserimento delle vicende di animali nella letteratura scritta. Con la storia di Frol Skobeevcompaiono nella narrativa elementi picareschi e il termine povest´ comincia ad assumere un’accezione non lontana da quella moderna («novella», «racconto»), mentre la Povest´ o Gore-Zločastii («Storia di Dolore-Malasorte») utilizza i principi del verso epico delle byliny(➔ bylina) e quelli del duchovnyj stich («verso spirituale») per narrare le disavventure di un giovane colpito dalla malasorte dopo aver violato i precetti morali trasmessi dai genitori. Grande fortuna ha la Skazanie pro Bovu Koroleviča («Storia di Bova principe»).
Verso la metà del 17° sec. il patriarca Nikon introduce nella Chiesa russa una serie di riforme liturgiche, approvate dal Concilio del 1656, ma violentemente respinte da una parte del clero e dei fedeli, che prendono il nome di ‘vecchi credenti’ e danno origine a uno scisma. Un battagliero rappresentante dei vecchi credenti, l’arciprete Avvakum, ferocemente perseguitato e poi arso sul rogo (1682), lascia le opere letterarie più importanti e innovative del secolo; la sua autobiografia, eccezionale per forza espressiva e originalità di linguaggio, fa ricorso a forme linguistiche popolari e conclude il periodo moscovita della letteratura russa, segnando l’inizio di una nuova stagione letteraria. Il concetto di stile individuale, la presenza dell’autore e della sua biografia avevano cominciato a manifestarsi nella letteratura ucraina e russa tra la fine del 16° e l’inizio del 17° sec., e sul finire del Seicento si affermano definitivamente.
Gli skomorochi
Al Seicento risalgono anche le prime trascrizioni di materiale folclorico. La ricchissima tradizione folclorica dell’antica Rus´ era trasmessa dagli skomorochi, attori girovaghi e menestrelli, attivi fin dall’11° sec., rinati nel 16° dopo la fine della dominazione tatara, malvisti dalla Chiesa e messi fuori legge dallo zar Alessio alla metà del 17° secolo. Nel 1619-20 sei canzoni storiche russe sono trascritte per R. James, uno degli ambasciatori inglesi inviati da Giacomo I allo zar Michele III.
Le canzoni epiche russe vengono di solito divise in due categorie: le byliny, in cui prevale l’elemento mitico e leggendario, e le canzoni storiche, che si riferiscono a eventi e personaggi reali. Nelle byliny si distinguono il ciclo di Kiev, che ruota intorno al principe Vladimiro e ai suoi Bogatyri (Il´ja Muromec, Dobrynja Nikitič e Alëša Popovič), e il ciclo della città mercantile di Novgorod, che annovera tra i suoi eroi Sadko e Vasilij Buslaev. Le canzoni storiche esaltano le gesta di personaggi contemporanei: Ivan il Terribile, Ermak, Sten´ka Razin. Altre forme di folclore dell’antica Rus´ sono i canti di tipo rituale per propiziare la pioggia o la fertilità della terra e i canti profani, come quelli di carnevale o dei briganti; diffusa è anche la poesia lirica popolare e quella a sfondo religioso dei duchovnye stichi. Una delle prime raccolte di byliny è quella di K. Danilov, pubblicata proprio all’inizio di quel 19° sec. che vedrà sorgere un vivace interesse per il folclore e moltiplicarsi raccolte e studi.
Il periodo di Pietro I il Grande segna una svolta radicale nella letteratura come nella storia russa, ma in letteratura la sua portata diventerà visibile solo nel periodo successivo. Alla morte di Pietro I, il divario culturale tra R. e Occidente, ancora abissale quando egli sale al trono, si è enormemente ridotto. Se fino al secolo precedente l’elemento religioso aveva avuto un peso determinante in un sistema letterario che, malgrado le numerose innovazioni, aveva le sue radici nella cultura bizantina, la letteratura del nuovo secolo s’ispira a modelli occidentali. Costruendo la sua nuova capitale, San Pietroburgo, Pietro fonda un grande mito letterario e dà inizio al periodo pietroburghese della letteratura russa, che si protrarrà fino alla rivoluzione del 1917.
Nel 1710 Pietro introduce l’alfabeto civile, una semplificazione grafica della scrittura in corsivo che la avvicina all’alfabeto latino, tracciando una netta distinzione funzionale tra russo e slavo ecclesiastico. La creazione della nuova R., nel disegno dello zar, richiede anche la creazione di una nuova lingua letteraria. Sostenitore delle riforme di Pietro è Feofan Prokopovič, esperto di retorica, teologia e filosofia, autore di una poetica in latino e di un abbecedario grazie al quale i bambini imparano a leggere in ‘semplice’ lingua russa e non più nella lingua della liturgia. V. Tredjakovskij, in un primo tempo, difende il primato della lingua parlata nella formazione di una lingua letteraria russa moderna, affine a quelle occidentali; propone un tipo di versificazione più aderente ai caratteri della lingua russa ed espone un sistema dei generi poetici.
A. Kantemir è il primo poeta originale russo del secolo, noto soprattutto per le sue satire in rima e in metro sillabico, tra le quali la famosa Na chuljaščich učenie («Contro i nemici dell’istruzione», 1729); traduttore di N. Boileau e B. Fontenelle, contribuisce alla formazione di una nuova coscienza teorico-letteraria, di una letteratura laica moderna. M. Lomonosov, geniale chimico, fisico, linguista, poeta, offre un contributo determinante al rinnovamento della scienza e delle lettere: elabora una nuova metrica, partecipa al dibattito linguistico del tempo con opere normative come la Rossijskaja grammatika(«Grammatica russa», 1757) e il trattato O pol´ze knig cerkovnych v Rossijskom jazyke(«Dell’utilità dei libri ecclesiastici per la lingua russa», 1757), nel quale espone la teoria classica dei tre stili. È autore di epistole, anche di contenuto scientifico, e di odi, alcune delle quali offrono un notevole esempio di poesia filosofica. Il prolifico A. Sumarokov, autore teatrale, scrive anche un’epistola sulla poesia, favole, satire contro la burocrazia, canzoni, seguendo i dettami del classicismo.
La profonda influenza del classicismo francese favorisce l’elaborazione di un sistema di generi letterari: M. Cheraskov, autore di poemi epici di grande successo come la Rossijada(«Rossiade», 1779) e il Vladimir (1785), introduce i generi dell’elegia e dell’epistola in versi, nuovi per la letteratura russa; si diffonde l’ode anacreontica, specialmente per merito dell’ucraino V. Kapnist, che nella commedia Jabeda («Il raggiro», 1793) denuncia la corruzione del sistema giudiziario; il poema eroicomico trova un cultore in V. Majkov, con il suo Elisej ili razdražënnyj Vakch («Elisej o Bacco infuriato», 1771). M. Murav´ëv e I. Bogdanovič introducono in R. la poésie fugitive (lëgkaja poezija), che i seguaci di N. Karamzin impiegheranno contro la retorica classica. La favolistica gode del favore dei classicisti, da Cheraskov a Majkov, e trova in I. Chemnicer un fedele cultore. Il principe M. Ščerbatov, critico dell’occidentalizzazione voluta da Pietro e della corruzione dei costumi di cui essa sarebbe stata causa, scrive il racconto utopistico Putešestvie v zemlju Ofirskuju g. S. švedskogo dvorjanina («Viaggio nella terra di Ofir del sig. S., nobile svedese», 1783-84), quadro di uno Stato ideale e critica implicita dello Stato russo.
Le istituzioni culturali, il sistema di istruzione, il giornalismo e il teatro conoscono un grande sviluppo durante il regno di Caterina II, che, salita al trono nel 1762, intraprende un’opera di riordinamento e di riforme legislative, visibilmente influenzata dal pensiero di Montesquieu. Buona propagandista delle sue riforme, Caterina si presenta come una sovrana illuminata, intrattiene una vivace corrispondenza con gli illuministi francesi, acquista la biblioteca di Diderot, offrendogli l’aiuto economico di cui ha bisogno.
Grande sviluppo riceve il giornalismo. Nel 1759 Sumarokov aveva pubblicato a proprie spese la Trudoljubivaja pčela («L’ape operosa»), rivista letteraria e satirica. A Mosca Cheraskov imprime la sua concezione classicista della letteratura alle riviste Poleznoe uveselenie («Utile divertimento», 1760-62) e Svobodnye časy («Ore libere», 1763). Si comincia a creare un pubblico letterario anche in provincia. È però con l’uscita di Vsjakaja vsjačina («Di tutto un po’», 1769) che la situazione muta; la rivista ha un taglio satirico, vi collabora con articoli anonimi l’imperatrice stessa, incoraggiando la nascita di altre riviste di satira dal tono didascalico. Assai più vivace è la satira nelle riviste di N. Novikov Truten´ («Il fuco», 1769-70), Pustomelja («Il chiacchierone», 1770) e Živopisec («Il pittore», 1772-73), ispirate allo Spectator di J. Addison. Tra le riviste dell’epoca vanno ricordate anche Adskaja počta («La posta dell’inferno», 1769) di F. Emin, scritta in forma di corrispondenza tra due diavoli, e le riviste vivacemente polemiche di M. Čulkov.
La futura Caterina II fonda (1756) a San Pietroburgo il Rossijskij Teatr, primo teatro stabile russo, diretto da Sumarokov, promuove la traduzione di testi, fa aprire una scuola per attori; il teatro ha un intento didascalico, e i testi stranieri vengono adattati all’ambiente russo perché il pubblico possa coglierne il messaggio educativo. D. Fonvizin, pur russificando modelli stranieri, dimostra grande originalità nelle sue commedie Brigadir («Il brigadiere», 1769), satira della gallomania della nuova generazione e dell’oscurantismo bigotto della vecchia, e Nedorosl´ («Il minorenne», 1782) che traspone in una situazione tipicamente russa la tradizione del teatro comico europeo.
Il classicismo considera il romanzo un genere basso, a meno che non abbia chiare finalità didascaliche. Fino alla metà del 18° sec. non vi sono romanzi russi d’amore o d’avventure; Emin e Čulkov sono i primi a diffondere il genere. A Emin si deve Nepostojannaja fortuna, ili pochoždenija Miramonda («La fortuna incostante o le avventure di Miramondo», 1763), ispirato alla vita avventurosa dell’autore, mentre Čulkov, nel suo romanzo incompiuto Prigožaja povaricha ili pochoždenie razvratnoj ženščiny («La cuoca avvenente o l’avventura di una donna dissoluta», 1770), si richiama a generi ‘bassi’ come il comico e il picaresco.
Nell’ambito della poesia s’impone la personalità di G. Deržavin, il poeta più originale del suo secolo, capace di mescolare audacemente comico e sublime, di dare spazio alla lingua ‘bassa’ in un genere ‘alto’ come l’ode, trasgredendo l’idea lomonosoviana di stile elevato. Accanto alle sue odi più celebri, sono da ricordare le Anakreontičeskie pesni («Canti anacreontici», 1804), i cui temi personali e domestici precorrono il sentimentalismo, e le opere della vecchiaia, ancora piene di vigore e di un gioioso epicureismo.
4. Sentimentalismo e preromanticismo
Gli eventi politici europei dell’ultimo scorcio del 18° e dell’inizio del 19° sec., come la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, e in particolare la campagna di R. del 1812, suscitano nel paese nuove energie intellettuali e politiche. A. Radiščev, inviato a Lipsia da Caterina II per completarvi gli studi, viene a contatto con le idee che apriranno la strada alla Rivoluzione francese. Il suo Putešestvie iz Peterburga v Moskvu («Viaggio da Pietroburgo a Mosca», 1790), pubblicato anonimo, che deve in parte a L. Sterne la sua tecnica, cerca di applicare alla R. le idee di diritto e di giustizia sociale e descrive gli orrori della servitù della gleba. L’opera, giudicata pericolosa, costò all’autore l’esilio in Siberia fino alla fine del regno di Caterina. Radiščev è anche un buon poeta e autore di povestisentimentali, rispondenti al rapido mutamento della sensibilità letteraria.
Favoriscono il diffondersi di un diverso clima letterario le traduzioni di Pamela (1740) e Clarissa Harlowe (1747-48) di S. Richardson, di Tristram Shandy (1760-67) e del Sentimental journey (1768) di Sterne, della Nouvelle Héloïse (1761) di J.-J. Rousseau, dei Leiden des jungen Werthers di J.W. Goethe (1774), dei canti di Ossian e di altre opere del preromanticismo europeo, ormai accessibili al pubblico russo poco dopo la pubblicazione originale. Sorge il problema di creare una lingua adeguata alla nuova epoca e ai nuovi generi letterari; a circa un secolo dai primi tentativi di codificazione della lingua letteraria russa, si riapre la polemica tra ‘arcaisti’ e ‘innovatori’. L’arcaista A. Šiškov (18°-19° sec.) vede la particolarità del russo letterario nel suo legame con lo slavo ecclesiastico, combatte la confusione tra lingua letteraria e lingua parlata, sostiene che slavo ecclesiastico e russo sono in realtà la stessa lingua nelle sue espressioni ‘elevata’ e ‘semplice’. L’innovatore N. Karamzin, viceversa, invita a eliminare le parole dotte slave, a scrivere come si parla, orientandosi sulla lingua colloquiale dell’élite intellettuale, influenzata dal francese e da altre lingue europee.
Si formano alcuni circoli letterari: la Beseda ljubitelej russkogo sloga («Conversazione degli amanti della parola russa», 1811-16), che si riunisce da Deržavin e raccoglie i sostenitori di Šiškov, e lo scanzonato e informale Arzamas, di orientamento opposto. Del primo fa parte, tra gli altri, I. Krylov che, dopo aver scritto alcune opere teatrali e aver tentato di far rinascere il giornalismo satirico, trova la sua vena migliore in un genere molto popolare tra la fine del Settecento e gli inizi dell’Ottocento: la favola. Le favole di Krylov, ispirate a J. de La Fontaine ma profondamente radicate nella realtà russa, hanno un enorme successo: la loro satira senza violenza, la morale dettata dal buon senso borghese, la scrittura ironica e vivace, la lingua originale, nutrita di detti e proverbi popolari, piacciono ai contemporanei.
Karamzin
La personalità letteraria che meglio riassume le nuove tendenze che si delineano nel passaggio da un secolo all’altro è però quella di Karamzin, uomo di cultura cosmopolita, aperto a quel nuovo tipo di sensibilità che prende il nome di sentimentalismo. L’opera che conquista a Karamzin la massima popolarità e segna una tappa importante nella formazione della narrativa moderna è Bednaja Liza («La povera Liza», 1792), lacrimevole storia di una fanciulla sedotta e abbandonata, in piena sintonia con il gusto sentimentale. Sarà poi Karamzin stesso a superare il sentimentalismo nelle sue ultime opere, usando anche i toni dell’ironia e del sarcasmo in Moja ispoved´ («La mia confessione», 1802).
Dall’incontro-scontro delle varie tendenze che si intersecano agli inizi del secolo emerge una linea predominante, rappresentata da giovani nobili, cultori della poesia, innovatori della lingua, aperti allo spirito del sentimentalismo e del Romanticismo, benché spesso ancorati alle forme del classicismo settecentesco; alcuni sono raccolti nel circolo dell’Arzamas, come V. Žukovskij, eccellente traduttore e autore di popolarissime ballate; P. Vjazemskij, teorico del Romanticismo, poeta elegante e leggero; K. Batjuškov, il cui classicismo affonda le sue radici nella tradizione latina e italiana; il giovanissimo A. Puškin. L’elegia, la poésie fugitive, l’epistola agli amici sono i generi preferiti dagli arzamasiani. Il Romanticismo domina, in varie forme, la vita letteraria degli anni 1820 e 1830.
Grande è il debito di Puškin verso coloro che gli hanno preparato il cammino e che, insieme con lui e con i poeti della cosiddetta pleiade puškiniana (D. Davydov, A. Del´vig, E. Baratynskij, N. Jazykov), hanno fatto parlare di un’età dell’oro della poesia. Baratynskij è, con D. Venevitinov, uno dei pochi rappresentanti di una poesia filosofica di alto livello. Con Puškin, tuttavia, si apre una pagina totalmente nuova della letteratura russa, che entra nel novero delle grandi letterature europee. Puškin trasforma innovando i generi letterari sin dal Ruslan i Ljudmila («Ruslan e Ljudmila», 1820), fusione del poema fantastico con elementi del folclore; con il romanzo in versi Evgenij Onegin (1825-33) crea un nuovo genere e preannuncia il passaggio alla prosa. La sua scrittura limpida, concisa, classica, da Pikovaja dama («La dama di picche», 1833) a Kapitanskaja dočka («La figlia del capitano», 1836), dà inizio a una delle linee della narrativa russa. Nuovo è anche il genere delle ‘piccole tragedie’ (tra le quali spiccano Mocart i Sal´eri «Mozart e Salieri» e Kamennyj gost´«Il convitato di pietra»).
Amici e sodali di Puškin sono i giovani decabristi, come il compagno di liceo V. Kjuchel´beker, poeta, drammaturgo e romanziere, e il poeta K. Ryleev, autore di ballate storiche e di poemi sulla storia ucraina. Legato ai decabristi è anche A. Griboedov, che deve la sua fama a un’unica geniale commedia, Gore ot uma («Che disgrazia l’ingegno», 1824), satira di un mondo chiuso e immobile con il quale si scontra il libero ingegno del protagonista.
Negli anni 1830 si delinea il passaggio dai generi poetici alla prosa, si rompe la continuità con il vecchio romanzo di avventure o picaresco, nello stile di V. Narežnyj, che pure andava oltre la semplice trasposizione di modelli francesi. In ambito romantico, a parte gli originali esperimenti di A. Vel´tman, prosatore immaginifico vicino ai romantici tedeschi, le ricerche più compiute di nuove forme narrative sono quelle dell’hoffmanniano V. Odoevskij, che con Russkie noči («Notti russe», 1844) introduce in R. la novella filosofica in forma di conversazione, e quelle di A. Bestužev, che va dal ciclo di novelle riunite da una comune cornice alla povest´ e al romanzo. L’opera che getta le basi del romanzo psicologico russo è Geroj našego vremeni («Un eroe del nostro tempo», 1839-40), scritta da uno dei maggiori poeti russi, M. Lermontov. Malgrado l’esiguità della produzione matura, Lermontov esprime con grande maestria formale la nostalgia romantica per terre lontane, il dolore di una moderna coscienza lacerata, dal byroniano poema Demon («Il demone», 1829-41) all’enigmatico poemetto Mcyri («Il novizio», 1839), fino al dramma Maskarad («Il ballo in maschera», 1835).
Tra i poeti di questa stagione ormai volta alla prosa sono da ricordare A. Kol´cov per le sue canzoni popolari e F. Tjutčev, poeta metafisico di grande statura, che contrappone dualisticamente Cosmo e Caos, canta la natura e l’amore in versi dal ritmo ampio, senza ignorare i toni dell’oratoria nella poesia politica.
Se i poeti Puškin e Lermontov avevano dato alla prosa apporti brillanti, N. Gogol´ sintetizza le esperienze precedenti, incluse quelle dei romantici tedeschi, creando una prosa originalissima. Uomo pieno di contraddizioni viene inteso solo in parte dalla critica contemporanea. I detrattori contrappongono il principio gogoliano, oscuro e ambiguo, alla serena luminosità del principio puškiniano; gli ammiratori, come V. Belinskij, vedono in lui soltanto il padre della ‘scuola naturale’, il fondatore del realismo russo. Per oltre mezzo secolo sfugge la potenza della componente fantastica dei suoi scritti, popolati di diavoli e ‘forze impure’. Da Gogol´ i realisti della generazione successiva imparano la libertà nel parlare di aspetti bassi o volgari dell’esistenza, l’attenzione al dettaglio espressivo, mentre gli scrittori del Novecento prendono la componente grottesca.
5.3 La rivalutazione della tradizione nazionale e il realismo
Gli anni 1830 e 1840 hanno un peso rilevante nella vita culturale e letteraria russa: l’intensificarsi dei contatti con l’Occidente a partire dalle guerre napoleoniche, la penetrazione dell’idealismo tedesco e del fourierismo, l’affermazione di una grande letteratura russa stimolano un nuovo atteggiamento, misto di ammirazione e di aspra critica, nei confronti del resto d’Europa, e una rivalutazione della tradizione nazionale. La pubblicazione della prima versione russa delle Lettres sur la philosophie de l’histoire (1836) di P. Čaadaev, che sostiene la superiorità culturale dell’Europa occidentale e attribuisce l’arretratezza della R. al suo legame con Bisanzio (l’ortodossia) anziché con Roma (il cattolicesimo), provoca violente discussioni; il Teleskop, la rivista che l’ha pubblicata, viene soppresso, Čaadaev è dichiarato pazzo. Si delineano nette le correnti degli occidentalisti e degli slavofili, che attraversano tutta la storia culturale della Russia. Tra gli occidentalisti sono attivi T. Granovskij, A. Herzen e Belinskij, vero leader dello schieramento, giornalista e critico veemente e geniale, le cui idee favoriranno il multiforme sviluppo del realismo russo. Gli slavofili, che annoverano nelle loro file personalità come A. Chomjakov, i fratelli I. e P. Kireevskij, S. Aksakov e i suoi figli Konstantin e Ivan, si avvalgono di categorie riconducibili al Romanticismo nella loro appassionata riflessione sul carattere nazionale della cultura russa e sulle sue matrici.
Emergono come gruppo culturalmente egemone i raznocincy («uomini di classi diverse»), prima generazione di intellettuali non nobili. L’intelligencija, esclusa dalla vita pubblica, avverte comunque una responsabilità civile, espressa attraverso le riviste e la letteratura, che si assume compiti sociali o apertamente politici. Sorgono importanti riviste; il Sovremennik («Il contemporaneo»), fondato nel 1836 da Puškin, passa nel 1846 nelle mani di N. Nekrasov. Si apre la controversia tra arte impegnata e arte per l’arte, critica utilitaria e critica estetica. A questo periodo risalgono alcune delle migliori liriche di A. Fet, poeta ‘puro’, riconosciuto poi dai simbolisti quale loro predecessore, accanto a quelle di J. Polonskij, di A. Majkov e del poeta e critico slavofilo A. Grigor´ev.
Il teatro conosce una nuova fioritura nella seconda metà del secolo, con il dramma storico di A.K. Tolstoj, la satira crudele di A. Suchovo-Kobylin, la commedia psicologica di I. Turgenev. Il nuovo genere di commedia di A. Ostrovskij s’impone nel panorama teatrale per il suo realismo drammatico con opere spesso ambientate tra i mercanti di Mosca e della provincia, dei quali mostrano l’avidità, la grettezza, il dispotismo familiare.
Il popolo è il protagonista della poesia di Nekrasov, ora vigorosamente oratoria, ora intessuta di motivi del folclore contadino e di elementi del linguaggio quotidiano, nello spirito della canzone popolare. I poemi Moroz, krasnyj nos («Gelo, naso rosso», 1864) e Komu na Rusi žit´ chorošo? («Chi vive bene in Russia?», 1866-76) sono esempi di una poesia libera dai modelli tradizionali, il cui contenuto sociale ha fatto passare in secondo piano le notevoli qualità poetiche.
Herzen, noto anzitutto come giornalista e politico, fa entrare clandestinamente in R. la sua rivista Kolokol («La campana», 1857-67), pubblicata a Londra, una delle sedi del suo lungo esilio. Memorie personali e riflessioni storiche si amalgamano felicemente nel suo Byloe i dumy («Passato e pensieri», 1867), in una scrittura elegante e ironica che raggiunge momenti di vera poesia. Ad accentuare l’impulso verso un realismo attento ai problemi sociali contribuisce la critica radicale e razionalistica di N. Dobroljubov, D. Pisarev e N. Černyševskij, autore del celebre romanzo Čto delat´? («Che fare?», 1863). Si elaborano in questa atmosfera i valori del populismo, sorto dopo il 1848 come risposta russa alle rivoluzioni europee, esperienza politica e culturale decisiva per più di una generazione. In letteratura, l’impronta del populismo è profonda; basti ricordare la narrativa di G. Uspenskij.
È il genere dominante nella seconda metà dell’Ottocento e costituisce il principale contributo della letteratura russa a quella europea. I grandi romanzieri russi godono in Europa di una popolarità ignota al genio di Puškin e Lermontov. Turgenev, molto noto all’estero per i suoi lunghi soggiorni in Francia, esordisce con versi, lavori teatrali e racconti; la sua prima opera in prosa di grande risonanza è Zapiski ochotnika («Memorie di un cacciatore», 1852), una serie di racconti sulla vita contadina, interpretati sia dalle autorità sia dalla critica radicale come una denuncia della servitù della gleba. Turgenev cerca poi di esprimere le inquietudini del suo tempo con alcuni romanzi nei quali compaiono personaggi emblematici della società russa. Sulla figura del nichilista Bazarov di Otcy i deti («Padri e figli», 1862) avviene la rottura con la critica radicale. Meglio dei suoi romanzi hanno resistito al tempo alcune delicate storie d’amore come Asja (1858), Pervaja ljubov´ («Primo amore», 1860), Vešnye vody («Acque di primavera», 1872).
Lontani dai romanzi a tesi allora in voga sono Semejnaja chronika («Cronaca familiare», 1856) e Detskie gody Bagrova-vnuka («Anni d’infanzia di Bagrov nipote», 1858) di Aksakov, che comincia a scrivere tardi, stimolato da Gogol´. In quella corale riflessione storica e psicologica, etica e filosofica che rende così peculiare il romanzo russo dell’Ottocento, l’Oblomov (1859) di I. Gončarov propone un’ottica del tutto originale. Dal nome del protagonista, divenuto un simbolo, è stato coniato il termine oblomovismo per indicare l’inguaribile inerzia di un ceto parassitario in decadenza; Oblomov è tuttavia figura più complessa, e la sua proverbiale pigrizia va interpretata come una forma di tenace resistenza al modello di vita frenetica incarnato dal suo antipode, il tedesco Stolz, e come difesa della libertà di sognare e di riflettere. M. Saltykov (noto come Saltykov-Ščedrin) usa l’arma della satira violenta, suscitando un’eco immediata in molti contemporanei quando, in Istorija odnogo goroda («Storia di una città», 1869-70), rappresenta su scala cittadina la storia della R. e dei suoi governanti, o quando, in Gospoda Golovlëvy («I signori Golovlëv», 1875-80), descrive in modo cupo e magistrale la decadenza e la definitiva rovina di una ricca famiglia di proprietari terrieri.
F. Dostoevskij
L’opera di F. Dostoevskij è animata da una possente carica ideologica che è in realtà una perenne interrogazione su tematiche quali la libertà dell’uomo, il socialismo, il bene, il male, Cristo, l’età dell’oro; l’intensità drammatica di questi interrogativi e la tumultuosa vita dello scrittore hanno sovente messo in ombra le qualità artistiche, rivelatesi sin dall’esordio nel romanzo epistolare Bednye ljudi («Povera gente», 1846). Le altre opere del periodo che precede la condanna ai lavori forzati mostrano già una grande complessità tematica e stilistica. L’esperienza di forzato ispira Zapiski iz mërtvogo doma («Memorie da una casa di morti», 1861-62), riflessione sulla libertà e la dignità umana, che segna l’inizio di una fase del tutto nuova; la dialettica tra verità e libertà sarà il tema centrale del Dostoevskij maturo. Nella ‘casa dei morti’ si stabilisce un difficile contatto con il popolo che muta il rapporto dello scrittore con la fede, lo induce a ‘scegliere Cristo’, come confermerà nei grandi romanzi, da Prestuplenie i nakazanie («Delitto e castigo», 1866) a Brat´ja Karamazovy («I fratelli Karamazov», 1878-80): costruiti intorno a un’idea filosofico-religiosa o politico-sociale, centro organizzatore dell’intreccio, essi danno vita a eroi in rivolta, come Raskol´nikov (Delitto e castigo) e Stavrogin (Besy «I demoni», 1871-73), o pervasi di amore cristiano, come Sonja Marmeladova (Delitto e castigo) o il principe Myškin (Idiot «L’idiota», 1868-69), colti sempre in momenti di crisi drammatica.
L. Tolstoj
La ricerca della verità e la profondità dell’esperienza spirituale accomunano Dostoevskij all’altro grande romanziere russo, L. Tolstoj, malgrado la radicale differenza di pensiero, vita, procedimenti letterari. Tolstoj, immerso nei problemi del suo tempo, li considera sotto l’aspetto etico e psicologico oppure storico. Dal giovanile Kazaki («I cosacchi», pubbl. 1863) all’epico Vojna i mir («Guerra e pace», 1865-69), i portatori della sanità morale sono coloro che vivono secondo natura: la coscienza del bene e del male spezza l’integrità dell’uomo, che può ricostituirla e recuperare i veri valori morali solo accanto al popolo, secondo la lezione di J.-J. Rousseau. Circa un decennio separa Anna Karenina(1875-77) da Vojna i mir: la servitù della gleba è stata abolita da molti anni, è venuta meno la fiducia nel cammino da seguire, regnano inquietudine, smarrimento, fino alla disperazione che, con il suicidio di Anna, conclude idealmente il romanzo. Negli anni successivi, pur attraversando una crisi che lo porterà a dedicarsi ad attività educative e religiose, Tolstoj scrive ancora alcuni romanzi, opere teatrali e splendidi racconti. Il distacco dalla letteratura diventerà quasi definitivo dopo Čto takoe iskusstvo? («Che cos’è l’arte?», 1897-98); da quel momento Tolstoj sarà un critico delle istituzioni, un pensatore religioso, un pacifista.
Alle teorie tolstoiane si avvicina con le figure dei suoi ‘giusti’ N. Leskov, che occupa un posto a sé nella narrativa dell’Ottocento per la ricchezza del linguaggio, impasto fecondo di forme dialettali, di etimologie popolari, di voci dei gerghi professionali o dello slavo ecclesiastico, e per l’uso sapiente dello skaz, tecnica che riproduce l’intonazione del linguaggio parlato di un narratore fittizio. Il suo stile, dimostrazione della vitalità della letteratura popolare orale, ha fortemente segnato scrittori novecenteschi come A. Remizov ed E. Zamjatin.
Finita la stagione dei giganti del romanzo realista, si affermano i generi brevi, in autori pregevoli come V. Garšin, dotato di una visione tragica della vita e di una sensibilità morbosa che lo porterà alla follia e al suicidio, o V. Korolenko, che combatte con mitezza, nella vita e nell’opera letteraria, l’ingiustizia sociale e la malvagità umana.
Il creatore di una nuova forma di racconto, destinata a godere di uno straordinario successo in R. e all’estero, è A. Čechov, che inizia a pubblicare racconti umoristici nel 1880 sotto vari pseudonimi. Presto, oltre la superficie comica, traspare una malinconica attenzione agli aspetti apparentemente insignificanti e grigi della vita, e si delineano le caratteristiche del racconto čechoviano: tinte tenui, capacità di cogliere le minime variazioni degli stati d’animo, importanza dei dettagli, salda costruzione dell’intreccio. Non ci sono forti personalità, né grandi azioni, né alte idealità; l’attenzione è spostata verso l’uomo comune, i gesti banali, quotidiani. Nei racconti come nelle opere teatrali si avverte un senso di estraneità; l’incomunicabilità tra i personaggi rivela l’insoddisfazione di sé, l’opacità della vita. La collaborazione di Čechov con il Teatro d’arte di K. Stanislavskij dà inizio a un totale rinnovamento dell’arte teatrale che continuerà nei decenni successivi, in direzioni diverse.
M. Gor´kij esordisce come scrittore romantico, cantore dei vagabondi, dei liberi individui anarchici che si oppongono alle regole della società, con Makar Čudra (1892), Starucha Izergil´ (1894), Čelkaš (1895). In un decennio pervaso di misticismo e di oscure premonizioni, i racconti del giovane autodidatta dalla vita avventurosa conquistano un’immediata popolarità. Più tardi Gor´kij partecipa al circolo di tendenza realista Sreda («Mercoledì») e nel 1904 fonda gli almanacchi di Znanie («Conoscenza»), che pubblicano opere degli scrittori del gruppo, tra cui A. Serafimovič (pseudonimo di A. Popov), V. Veresaev (pseudonimo di V. Smidovič), A. Kuprin, I. Bunin, L. Andreev. Nel passaggio tra i due secoli spiccano le figure di V. Solov´ëv e V. Rozanov. A Solov´ëv, filosofo e letterato, si ricollega gran parte del pensiero religioso del 20° sec.; a lui si richiamano esplicitamente, come a un maestro, i simbolisti nella loro fase mistica. A Rozanov la scrittura del Novecento è debitrice di un nuovo genere letterario, montaggio di frammenti, commistione di diario intimo, libro di cucina, lettere private, aforismi, sperimentato in Uedinennoe («Solitaria», 1912) e Opavšie list´ja («Foglie cadute», 1913-15).
Il periodo a cavallo tra 19° e 20° sec., fino alla Rivoluzione d’ottobre, coincide con la grande crisi che attraversa tutta l’Europa e sfocia nella Prima guerra mondiale. La R. è scossa in questi anni dalla guerra russo-giapponese e da sommovimenti interni come la rivoluzione del 1905 e le due rivoluzioni del 1917. Si diffondono catastrofismo e visioni apocalittiche; alle concezioni positivistiche si oppongono quelle religiose e mistiche, al pensiero storicista succede il dialogo con l’eternità e con l’universo, alla prosa segue una nuova stagione poetica. Con le conferenze di D. Merežkovskij O pričinach upadka i o novych tečenijach sovremennoj russkoj literatury («Sulle cause del decadimento e sulle nuove correnti della letteratura russa contemporanea», 1892, pubbl. 1893), che indicano nel contenuto mistico, nei simboli e nell’ampliamento della sensibilità artistica i tratti essenziali della nuova arte, si apre la stagione del simbolismo. Sono anni di ripensamento critico della tradizione letteraria ottocentesca, di abbandono dell’impegno sociale della letteratura, anche se non della riflessione sulla società russa e sui suoi orientamenti. La letteratura stabilisce un intreccio di rapporti con le altre arti; emblematico è il ruolo della rivista Mir iskusstva («Il mondo dell’arte», 1899-1904), che raccoglie artisti e letterati, simbolisti e non.
I riferimenti europei della nuova cultura sono i poeti del simbolismo francese, la musica di R. Wagner, la filosofia di A. Schopenhauer e F. Nietzsche, il teatro di H. Ibsen e A. Strindberg. Il primo decennio simbolista è affine per spirito al decadentismo europeo: vi dominano disincanto, temi satanici, cinismo provocatorio, voluttà (K. Bal´mont; V.J. Brjusov), gusto morboso, incubi, come nella poesia di F. Sologub (pseudonimo di F. Teternikov) e nel suo romanzo Melkij bes («Il demone meschino», 1905), momento alto della prosa simbolista. La rivista Vesy («La bilancia», 1904-09), per alcuni anni centro di dibattito e di diffusione della nuova poesia, è fondata da Brjusov, poeta di grande abilità formale, romanziere (Ognennyj angel «L’angelo di fuoco», 1907), critico, teorico e organizzatore culturale, che esercita un forte fascino sui poeti della generazione successiva.
I giovani, però, considerano il simbolismo una concezione filosofico-religiosa più che una scuola letteraria, e la poesia un mezzo per esprimere l’ineffabile, per raggiungere realtà altrimenti inattingibili. In questo senso appartiene alla giovane generazione V. Ivanov, il rappresentante più compiuto, sul piano teorico, della tendenza mistica del simbolismo, poeta di vasta cultura classica, autore teatrale e saggista. A. Blok sintetizza nella sua opera e nella sua persona, mitizzata dai contemporanei, l’itinerario del simbolismo russo dal misticismo alla percezione tragica del momento storico. Alla concezione solovëviana dell’eterno femminino (Stichi o Prekrasnoj Dame «Versi sulla Bellissima Dama», 1905) succede la degradazione della Dama, lo smascheramento ironico dei mistici (Neznakomka«L’ignota», 1906; Balagančik «La baracca dei burattini», 1906); nuclei tematici più terreni, come la vita della grande città, il destino storico della R., la funzione degli intellettuali, alimentano i versi e la saggistica di Blok negli anni della maturità. L’amico e rivale di Blok, A. Belyj (pseudonimo di B. Bugaev), pubblica nel 1902 la prima delle quattro ‘sinfonie’ in prosa ritmica. Capace di tuffarsi senza riserve in ogni avventura dello spirito, si muove nell’ambito del misticismo e dell’antroposofia, scrive raccolte poetiche, saggi estrosi e suggestivi; ma forse il suo maggior contributo alla letteratura è dato dai romanzi, anzitutto da Peterburg («Pietroburgo», 1916), opera di sconcertante modernità linguistica e strutturale che lo ha fatto paragonare a J. Joyce.
Il simbolismo russo, ricco di personalità diverse, dopo il 1910 entra in una crisi irreversibile. In quell’anno appare su Apollon l’articolo programmatico di M. Kuzmin O prekrasnoj jasnosti («Della bellissima chiarezza»), che segna il suo distacco dal simbolismo. Senza rotture violente, Kuzmin si oppone alla nebulosità mistica dei simbolisti, chiede razionalità e chiarezza, divenendo un precursore dell’acmeismo. Gli acmeisti (N. Gumilëv; A. Achmatova, pseudonimo di A. Gorenko; O. Mandel´štam) non negano il loro debito verso i simbolisti, ma all’allusività, alla musicalità del verso contrappongono la precisione, l’abilità artigianale, le salde strutture architettoniche. La riflessione sulla poesia, la perfezione classica della forma, la densità semantica collocano i maggiori acmeisti tra le voci più alte della poesia novecentesca, non solo russa. Come gli acmeisti, l’amaro V. Chodasevič vede in I. Annenskij un suo maestro, e come loro appartiene alla ‘linea pietroburghese’ della poesia e tende alla classicità della forma.
Negli stessi anni pubblica i primi versi M. Cvetaeva e fanno il loro ingresso nella letteratura i futuristi, scrivendo manifesti, scandalizzando, proclamando la loro avversione al vecchiume, alle tradizioni stantie. Il futurismo russo, al di là degli aspetti spettacolari delle sue esibizioni, ha dato al rinnovamento della poesia contributi essenziali nell’opera di V. Chlebnikov e di V. Majakovskij. Gli anni che precedono la Prima guerra mondiale sono fervidi di ricerche non soltanto poetiche: nella narrativa e nel teatro di Andreev (Žizn´ čeloveka «La vita dell’uomo», 1906; Car´ golod «Il re fame», 1908) vi sono fermenti espressionistici che non andranno perduti; B. Zajcev tenta le vie dell’impressionismo, Remizov e Zamjatin quelle della cosiddetta prosa ornamentale.
7.1 Gli anni dopo la Rivoluzione
La Rivoluzione dell’ottobre 1917 segna una svolta radicale nella letteratura come nella storia russa. Si crea immediatamente una frattura tra gli intellettuali: entusiasti alcuni vecchi rivoluzionari e molti giovani, nettamente ostile gran parte della vecchia intelligencija, mentre un’altra parte, insofferente verso il vecchio regime autocratico, è alla ricerca della propria collocazione. Molti scrittori affermati emigrano subito, altri temporeggiano, tentano d’inserirsi nella nuova vita culturale. Il Proletkul´t, organizzazione culturale formatasi prima della rivoluzione, svolge un’attività febbrile; i futuristi si schierano subito a sinistra, sostenendo che la rivoluzione in letteratura deve partire da un radicale rinnovamento della forma.
Nel primo periodo prevale la poesia. Gli scrittori proletari migliori riescono a esprimere con slancio sincero la fiducia nel progresso, nella rivoluzione mondiale, nella funzione degli operai: così A. Gastev in Poezija rabočego udara («Poesia dello slancio proletario», 1918); così V. Kirillov in Železnyj messija («Il messia di ferro», 1918). A dare l’impronta poetica al periodo rivoluzionario sono i grandi poeti: Blok, con Dvenadcat´ («I dodici», 1918), che collega un gruppo di rivoluzionari pezzenti all’immagine dei dodici apostoli guidati da Cristo, e con Skify («Gli Sciti», 1918), dove mostra il volto ‘asiatico’ della R. rivoluzionaria; Belyj, che proietta la sua visione mistica anche sugli eventi della rivoluzione in Christos voskres («Cristo è risorto», 1918); S. Esenin, che vede nella rivoluzione bolscevica una rivincita della campagna e descrive il suo paradiso contadino nel poema Inonija («Altra terra», 1918). Tutte queste opere nascono sotto l’impulso dello scitismo di Ivanov-Razumnik (pseudonimo di R. Ivanov).
Sempre nel 1918 Majakovskij scrive per il teatro Misterija-Buff («Mistero buffo»), in cui un gruppo di ‘puri’ (i borghesi) e uno di ‘impuri’ (i proletari) cercano di salvarsi dal diluvio universale e di raggiungere la terra promessa. Majakovskij, come quasi tutti i futuristi, è totalmente impegnato nella realizzazione di un’arte rivoluzionaria e non disdegna nessuna forma, dall’alta lirica di Pro eto («Di questo», 1923) ai cartelloni pubblicitari, senza mai riuscire a far accettare la carica innovativa della sua poesia.
I problemi della parola poetica e della lingua sono al centro delle ricerche del Circolo linguistico moscovita e del pietrogradese Opojaz, che raccolgono brillanti studiosi, creatori del formalismo russo. La fine della guerra civile e l’avvento della NEP favoriscono la rinascita della prosa. Gor´kij, che nei suoi Nesvoevremennye mysli («Pensieri intempestivi», 1917-18) aveva espresso forti riserve sulla rivoluzione, diventa il protettore dei giovani scrittori, non solo sul piano letterario: li aiuta a trovare alloggio, abiti, cibo in un momento di estrema carestia, crea la casa editrice Vsemirnaja literatura («Letteratura universale») che procura lavoro a molti di loro. A Pietrogrado si forma il gruppo dei Fratelli di Serapione; il loro giovanissimo teorico, L. Lunc, propugna un’arte non schierata politicamente, capace di costruire intrecci avvincenti e dinamici come quelli dei romanzi di avventure occidentali. Il gruppo riunisce scrittori assai diversi, come l’‘orientalista’ V. Ivanov, l’‘occidentalista’ V. Kaverin (pseudonimo di V. Zil´berg), il brillante umorista M. Zoščenko, K. Fedin, il poeta N. Tichonov, i quali imparano la tecnica della prosa e l’uso dello skaz da Zamjatin, che emigrerà in Francia quando gli diventerà impossibile pubblicare in R. le sue opere, tra cui il celebre romanzo antiutopistico My («Noi», 1922).
Una visione romantica della rivoluzione, intesa come forza elementare e purificatrice, si trova nell’opera di A. Vesëlyj (pseudonimo di N. Kočkurov), A. Malyškin, V. Ivanov, V. Šiškov, nelle ballate di Tichonov. Emergono voci femminili fra loro molto diverse, come quelle di L. Sejfullina, di O. Forš, di M. Šaginjan. Alcuni degli scrittori più originali, raggruppati sotto il nome di ‘compagni di strada’, sono tra i collaboratori della rivista Krasnaja nov´ («Novale rossa»), diretta (1921-27) dal critico A.K. Voronskij; tra loro I. Babel´, autore della prosa smagliante di Konarmija («L’armata a cavallo», 1926) e degli Odesskie rasskazy («Racconti di Odessa», 1931); B. Pil´njak (pseudonimo di B. Vogau), che spicca per l’audace sperimentalismo di Golyj god («L’anno nudo», 1921); il primo L. Leonov. Rivelano notevoli qualità poetiche N. Aseev, E. Bagrickij (pseudonimo di E. Dzjubin), I. Sel´vinskij, i poeti contadini N. Kljuev e S. Klyčkov (pseudonimo di S. Lešenkov), ai quali è inizialmente legato Esenin.
Alla guerra civile vista dalla parte dei ‘bianchi’ è dedicato il romanzo di M. Bulgakov Belaja gvardija («La guardia bianca», 1925), mentre le altre sue opere dello stesso anno D´javoljada («Diavoleide») e Rokovye jajca («Uova fatali») sono racconti satirici scritti nei modi del fantastico grottesco. Zavist´ («Invidia», 1927) di J. Oleša, originalissimo per il tipo di scrittura, è un’acuta analisi dello stato d’animo dell’intellettuale, lacerato tra attrazione e ripulsa per la rivoluzione; J. Tynjanov, teorico della letteratura e critico, scrive tra il 1925 e il 1927 due romanzi storico-letterari, Kjuchlja e Smert´ Vazir Muchtara(«La morte di Vazir Muchtar»). Gode dei favori del pubblico e della tolleranza della censura una linea satirica allegra e pungente, meno feroce di quella bulgakoviana, rappresentata da I. Il´f (pseudonimo di I. Fainzil´berg) ed E. Petrov (pseudonimo di E. Kataev), che scrivono insieme Dvenadcat´ stul´ev («Le dodici sedie», 1928) e Zolotoj telënok(«Il vitello d’oro», 1931), e da V. Kataev con Rasstratčiki («I dissipatori», 1927). A. Tolstoj, rientrato in R. dopo un breve periodo di emigrazione, comincia a pubblicare la trilogia Choždenie po mukam («La via dei tormenti», 1920-41); M. Šolochov compone il suo apprezzato e contestato Tichij Don («Il placido Don», 1928-40), una delle opere più complesse della narrativa sovietica.
Dopo il 1925 muta la presentazione dell’evento rivoluzionario: il primato passa dalla spontaneità delle masse all’organizzazione e alla coscienza politica; la rivoluzione e la guerra civile non sono più i temi predominanti; appare la figura dell’eroe del lavoro, ricostruttore del paese, in Cement («Cemento», 1925) di F. Gladkov, capostipite di una ricca letteratura sullo stesso argomento. Il teatro si avvale dell’opera di grandi registi, da Stanislavskij a V. Mejerchol´d, da A. Tairov (pseudonimo di A. Kornbliet) a E. Vachtangov, che mettono in scena commedie di Majakovskij, Bulgakov, N. Erdman, e opere di autori classici. Gli anni 1920, in complesso, sono caratterizzati, pur tra aspri contrasti, dalla vivacità creativa, dalla varietà delle sperimentazioni, dalla passione teorica. Il suicidio di Majakovskij (1930) segna tragicamente il passaggio al decennio successivo.
7.2 La letteratura dell’emigrazione
Parallelamente, all’estero si sviluppa la letteratura dell’emigrazione. Suoi centri principali sono Berlino prima, Parigi poi, e solo nel secondo dopoguerra gli USA. Emigrano subito dopo la rivoluzione scrittori affermati come Andreev, M. Arcybašev, A. Averčenko, Bunin, Z. Gippius, Merežkovskij, A. Kuprin, I. Šmelëv, Zajcev, M. Aldanov (pseudonimo di M. Landau), P. Muratov, e poco più tardi Bal´mont, la giovane Cvetaeva, Remizov, Chodasevič con N. Berberova; qualcun altro otterrà in seguito il permesso di espatriare (Zamjatin), altri ancora saranno espulsi. Nel periodo berlinese (1921-23) i rapporti con la R. non sono del tutto interrotti; molti scrittori che poi torneranno in patria frequentano gli ambienti dell’emigrazione. Belyj a Berlino scrive con prodigiosa fecondità e pubblica una sua rivista, Epopeja; così fa anche I. Erenburg, che dirige con El Lissitzky (pseudonimo di E. Lisickij) la rivista Vešč´ («La cosa») e scrive il suo primo romanzo, pieno di ironia e di scetticismo, Neobyčajnye pochoždenija Chulio Churenito i ego učenikov («Le avventure straordinarie di Julio Jurenito e dei suoi discepoli», 1922). Il quotidiano Nakanune («Alla vigilia», 1922-24) esprime gli umori di quella parte dell’emigrazione che pensa a un prossimo ritorno in Russia.
Riviste, almanacchi e giornali sono centri di coordinamento e d’incontro di partiti e gruppi politici, di tendenze letterarie, a Berlino come poi a Parigi. Tra gli scrittori già noti che continuano con successo a lavorare nell’emigrazione si possono ricordare Bunin, riconosciuto maestro di stile, al quale nel 1933 sarà assegnato il premio Nobel, e Remizov, che maneggia con straordinaria abilità la lingua del folclore e degli antichi documenti, trovando in essa un riparo dall’angoscia dell’esilio. Viceversa tace come poeta, dopo i versi di Evropejskaja noč´ («La notte europea», 1927), Chodasevič. Cvetaeva, di poco più giovane, proprio all’estero raggiunge la piena maturità, esprimendo un profondo sentimento tragico e una visione orfica della poesia in un verso sonoro e possente. All’estero si forma V. Nabokov, divenuto più tardi scrittore di lingua inglese. La generazione di coloro che erano emigrati nell’infanzia o nell’adolescenza continua generalmente a scrivere in russo; poeta e prosatore interessante è B. Poplavskij, morto a Parigi per un’overdose di eroina.
Nell’Unione Sovietica negli anni 1930 si afferma la teoria del ‘realismo socialista’; si diffonde la letteratura del primo piano quinquennale, che esalta la costruzione di grandi fabbriche o centrali idroelettriche, poi quella della collettivizzazione delle campagne e della nascita dell’uomo ‘nuovo’. Gli scrittori visitano cantieri e villaggi per poter rappresentare ‘realisticamente’ le trasformazioni del paese. Molti pagano il loro tributo più o meno sincero a questi temi. Continuano a scrivere con successo Kaverin, Il´f e Petrov, Kataev, Leonov, A. Fadeev e molti altri. Il romanzo storico, genere assai praticato negli anni 1920, assume una nuova dimensione, più confacente ai tempi, con Pëtr I («Pietro I», 1929-45) di A. Tolstoj. B. Pasternak, che aveva già esordito da tempo con esperienze legate al futurismo, si afferma come poeta lirico di primo piano e originale prosatore. Assai più difficile la situazione di Bulgakov e di A. Platonov (pseudonimo di A. Klimentov), che stentano molto o non riescono affatto a far conoscere le loro opere. Bulgakov continua a scrivere lavori teatrali che non vengono rappresentati e romanzi che non vengono pubblicati, tra i quali il suo capolavoro, Master i Margarita («Il Maestro e Margherita»). Platonov crede nelle conquiste scientifiche, nel progresso, nel comunismo; la sua opera è una continua ricerca della felicità, una puntuale verifica dell’utopia realizzata. Una scelta delle sue opere viene pubblicata in URSS nel 1966; opere fondamentali come Čevengur e Kotlovan («Lo sterro»), scritte alla fine degli anni 1920, sono apparse in R. solo sul finire degli anni 1980.
A questo periodo risale la travagliata vicenda degli oberiuti (da Oberiu, abbreviazione di Ob´edinenie real´nogo iskusstva «Unione dell’arte reale»), gruppo sorto nel 1927 come ultima propaggine delle avanguardie, che ha dato scrittori della statura di D. Charms (pseudonimo di D. Juvačev), A. Vvedenskij, K. Vaginov (pseudonimo di K. Vagingeim) e N. Zabolockij.
Il decennio si chiude con le tragiche repressioni che coinvolgono un numero impressionante di scrittori, compresi coloro che avevano partecipato con entusiasmo alla rivoluzione e alla guerra civile.
Le vicende della Seconda guerra mondiale riescono a ricreare una forte unione tra intellettuali e potere. Riprendono la parola scrittori come Achmatova, condannata a lungo al silenzio, e diventano punti di riferimento importanti per il loro popolo. I temi della guerra occupano quasi interamente la letteratura e trovano in K. Simonov, A. Tvardovskij e V. Nekrasov una rappresentazione partecipe e non convenzionale. Le speranze dell’immediato dopoguerra sono destinate a spegnersi ben presto: all’aspettativa di una democratizzazione della vita e della cultura, A. Ždanov risponde attaccando la rivista Zvezda («La stella») che ha pubblicato scritti di Zoščenko e Achmatova. Per alcuni anni si ripiomba in un clima oppressivo. Nel 1952 la rivista Novyj mir («Mondo nuovo»), diretta da Tvardovskij, pubblica Rajonnye budni («Vita quotidiana di una regione») di V. Ovečkin, che racconta con molta franchezza la vita reale di un kolchoz con le sue difficoltà, la sua miseria, la sua disorganizzazione. Nel 1954 appare su Znamja («La bandiera») il romanzo di Erenburg Ottepel´ («Il disgelo»), che darà il nome al periodo di relativa liberalizzazione che segue la morte di Stalin (1953). È una stagione vivace, piena di speranze. Nasce una prosa che si propone di analizzare la vita e i sentimenti reali dei contadini. Il romanzo di V. Dudincev Ne chlebom edinym («Non di solo pane», 1956) diviene un’opera emblematica, malgrado il modesto valore letterario. Gli almanacchi Literaturnaja Moskva («Mosca letteraria», 1956) e Tarusskie stranicy («Pagine di Tarusa», 1961), che raccolgono testi quasi sconosciuti al pubblico sovietico, assurgono a eventi letterari. Vengono riabilitati scrittori spariti negli anni del terrore; si ristampano opere di Bunin, Oleša, Platonov; si affermano giovani poeti come E. Vinokurov, E. Evtušenko, R. Roždestvenskij, A. Voznesenskij, B. Achmadulina; riprendono slancio poeti meno giovani, da Aseev ad A. Prokof´ev, P. Antokol´skij, B. Sluckij, L. Martynov. B. Okudžava, V. Vysockij e A. Galič (pseudonimo di A. Ginzburg) accompagnano i loro versi con la chitarra, seguiti da un pubblico giovanile appassionato. Comincia a diffondersi la popolarità dei fratelli A. e B. Strugackij, autori di originali romanzi di fantascienza.
Un primo irrigidimento si nota con il divieto di pubblicare Doktor Živago di Pasternak che, apparso in Italia, valse all’autore il premio Nobel (1958) e aspre critiche in patria. Su Novyj mir esce tuttavia Odin den´ Ivana Denisoviča («Una giornata di Ivan Denisovič», 1962) di A. Solženicyn, la prima opera ambientata in un campo di concentramento. Vengono pubblicati postumi Teatral´nyj roman («Romanzo teatrale», 1965) e Master i Margarita (1967) di Bulgakov.
7.5 I dissidenti e la letteratura ufficiale
Il processo di liberalizzazione s’interrompe nel 1966 con l’arresto di J. Daniel e A. Sinjavskij, accusati di aver pubblicato alcune opere all’estero. Negli anni 1970 si evidenzia una frattura tra la letteratura ufficiale e il samizdat (l’editoria clandestina), aumenta il numero delle opere russe pubblicate all’estero, sale una nuova ondata di emigrazione o di espulsioni. Si stabiliscono all’estero scrittori già noti (V. Aksënov; I. Brodskij; Nekrasov; Solženicyn; G. Vladimov; V. Vojnovič), così come il critico Sinjavskij e il filosofo A. Zinov´ev che in esilio diventeranno originali scrittori, audace sperimentatore il primo, feroce satirico il secondo. Nel 1979 esce in samizdat l’almanacco Metropol´, preparato da Aksënov, A. Bitov, Venedikt Erofeev, F. Iskander, E. Popov, subito ristampato in America, mentre in Francia Sinjavskij pubblica la rivista Sintaksis.
Nella letteratura ufficiale continua a occupare un posto rilevante la prosa contadina nelle opere di V. Šukšin, V. Rasputin, F. Abramov, V. Belov; la descrizione della vita dura dei villaggi, di personaggi frustrati, delle difficoltà del passaggio dalla campagna alla città si accompagna a una rivalutazione della tradizionale morale contadina e della sottomissione alle sue regole, che spesso sfocia nel vasto fiume del neoslavofilismo. A problemi di ordine etico dedicano le loro opere J. Trifonov e V. Tendrjakov; si affermano, con nuovi temi e nuovi procedimenti stilistici, A. Kim, V. Makanin, V. Orlov, Bitov.
Con la fine del decennio, accanto alla letteratura strettamente ufficiale di J. Bondarev, A. Čakovskij, P. Proskurin, appaiono opere di scrittori più critici, attenti ai problemi sociali e a quelli esistenziali, come Kartina («Il quadro», 1980) di D. Granin (pseudonimo di D. German), Posle buri («Dopo la tempesta», 1982-86) di S. Zalygin e Al´tist Danilov («Il suonatore di viola Danilov», 1980) di Orlov.
Il vero momento di svolta, tuttavia, è il 1985, anno dell’ascesa al potere di M. Gorbačëv. Nel giro di pochi mesi la situazione letteraria muta completamente: vengono pubblicate opere fino ad allora inedite in R., di scrittori come Bulgakov, Mandel´štam, Pasternak, Platonov, V. Šalamov, Solženicyn, J. Dombrovskij; escono dai cassetti scritti di Belov, Dudincev, J. Nagibin, A. Pristavkin, A. Rybakov (pseudonimo di A. Aronov); appaiono nuove edizioni di autori dell’inizio del secolo o addirittura del 19° sec., non ristampati da decenni: pensatori religiosi come N. Berdjaev, L. Šestov (pseudonimo di L. Schwarzmann) e P. Florenskij, scrittori come Gumilëv e L. Dobyčin. Si recupera la letteratura della prima emigrazione, pubblicando opere di Bunin, Chodasevič, Cvetaeva, G. Ivanov, Nabokov, Remizov, Šmelëv, Zajcev, Zamjatin. Riescono a tornare per breve tempo in R. le ultime superstiti di quella generazione, Berberova e I. Odoevceva, di cui si ristampano le opere. Tra gli scrittori della seconda emigrazione (quella che abbandonò la R. al seguito delle truppe tedesche) emerge il lirico I. Elagin (pseudonimo di I. Matveev).
La stagione della lettura appassionata è però brevissima. Solženicyn, prima osannato come un profeta, è diventato poi per i più un noioso predicatore. Si fa strada una nuova generazione di scrittori, in polemica con il canone del passato recente ma anche con la tradizione ottocentesca del romanzo ideologico, moralistico, parenetico. Molti, esordienti negli anni 1970, in seguito hanno reso esplicita la loro posizione. Uno di loro, Viktor Erofeev (forse il primo a introdurre in dosi massicce l’elemento erotico nella prosa russa contemporanea con Russkaja krasavica, 1990; trad. it La bella di Mosca, 1991) li definisce ‘i fiori del male’, ma sono generalmente noti come ‘l’altra letteratura’: ‘altra’ rispetto alla letteratura sovietica e a quella del dissenso. Non contestano, non denunciano, non difendono nessun ideale; dissacrano il ruolo dello scrittore, apprezzano la durezza di Šalamov e di S. Dovlatov (emigrato e morto a New York nel 1989); sono convinti che il male abbia da tempo trionfato nel mondo; introducono nella letteratura temi tabù come l’erotismo, l’omosessualità, fino all’antropofagia; esibiscono cinismo, talvolta venato di satanismo. La loro scrittura è varia per stile e per qualità; alcuni non disdegnano i mezzi del surrealismo. Oltre a E. Popov, V. Popov, V. P´ecuch, Venedikt Erofeev, E. Limonov (pseudonimo di E. Savenko), vengono talvolta annoverate nelle loro file, con una forzatura ingiustificata, scrittrici come T. Tolstaja (Na zolotom kril´ce sideli,1987; trad. it. Sotto il portico dorato, 1989; i racconti della raccolta La più amata, 1994) e L. Petruševskaja per l’uso del grottesco e per i dubbi sulla bontà della natura umana che traspaiono dietro la loro benevolenza per i derelitti.
Dagli anni 1990 in poi, agli autori (come V. Sorokin) che con argomenti scabrosi o marginali fanno concorrenza ai gialli e alla paraletteratura si affiancano poeti e narratori di generazioni diverse che continuano la riflessione, tipica della tradizione russa, su grandi problemi storici o su intime esperienze spirituali. V. Pelevin in opere di grande successo come Omon Ra (1992) e Generation ‘P’ (1999) rivisita in chiave fantastica gli aspetti più assurdi e grotteschi della vita quotidiana sovietica e post-sovietica. Da ricordare la scrittrice L. Ulickaja, che con il romanzo breve Sonečka (1992) ha ottenuto in Occidente unanimi consensi. Nell’ambito della letteratura commerciale si deve rilevare il fenomeno della scrittrice A. Marinina, che nel corso degli anni 1990 ha riscosso uno straordinario successo di pubblico con i suoi gialli. Nella seconda metà del decennio si distinguono i più raffinati romanzi gialli a sfondo storico di B. Akunin (pseudonimo di G. Tchkhartichvili), tra i quali Azazel (1998; trad. it. La regina d’inverno, 2000) e Tureckij gambit (1998; trad. it. Gambetto turco, 2000), e i romanzi giallo-neri, venati di ironia, di D. Doncova.. Nel panorama della poesia, accanto ad autori come E. Rejn, che continuano i modi tradizionali della lirica russa, è nata una pleiade di sperimentatori (la critica ha parlato di minimalismo, concettualismo, soc-art, postmodernismo ecc.), fra cui vale la pena di ricordare L. Rubinstejn, M. Ajzenberg, T. Kibirov, nonché la figura di maggior rilievo, il concettualista D. Prigov.
Fonte: http://www.treccani.it/enciclopedia/russia/
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