Storia dell’alfabeto cirillico

Storia dell’alfabeto cirillico

Il 24 maggio nella maggior parte dei Paesi slavi – Bulgaria, Macedonia e Russia in primis (in altri Paesi slavi si festeggia l’11 maggio, a seconda del calendario liturgico rispettivamente gregoriano o giuliano in vigore, in Cechia e Slovacchia la data si sposta al 5 luglio) – si celebra la “giornata della scrittura e della cultura slava” (detta anche più semplicemente “giornata dell’alfabeto slavo”), volendo con ciò rendere omaggio ai due fratelli monaci, Cirillo e Metodio, noti come i Santi evangelizzatori delle terre slave. In effetti, i due fratelli, originari di Tessalonica (allora in Macedonia; ora Salonicco, in Grecia), all’epoca seconda città dell’Impero bizantino, si resero fautori di una vera e propria rivoluzione culturale, la cui portata si estende ben al di là della mera opera di cristianizzazione delle genti pagane slave. Si rende qui necessaria qualche puntualizzazione storica.

Rastislav, principe della Grande Moravia (il primo Stato slavo-occidentale), nell’anno 863 con l’intento di svincolarsi dalla sempre più pressante ingerenza franco-germanica e dal potere coercitivo del clero tedesco, indotto dunque da forti ragioni politiche prima ancora che religiose, si rivolse all’imperatore di Bisanzio, Michele III, affinché gli inviasse dei missionari in grado di evangelizzare le genti slave in una lingua per loro immediatamente comprensibile, favorendo con ciò l’assurgere dello slavo a lingua di culto, accanto al latino, greco ed ebraico –  le sole lingue allora ufficialmente ammesse per la predicazione e per qualsiasi attività connessa al culto. Ebbene, i due fratelli, dotati di profonda cultura e di rara sensibilità linguistica, nella delicata veste di mediatori culturali ante litteram, per così dire, codificarono a tal fine una lingua (ora detta paleoslavo o antico salvo ecclesiastico), basandosi fondamentalmente sul loro dialetto bulgaro-macedone di origine, perfezionato però con grecismi sintattici e lessicali e integrato con moravismi, e che poteva dunque ben fungere da lingua slava sovranazionale e al contempo ammantarsi anch’essa di un alone di sacralità alla pari delle altre tre lingue tradizionalmente “sacre”. Al riguardo va specificato che la complessa operazione fu resa possibile anche dal fatto che all’epoca le differenze tra le varie parlate slave (occidentali, orientali e meridionali) non erano per nulla accentuate come lo sono attualmente –  si confrontino, ad esempio, le lingue slave moderne tra loro ben distinte come il polacco (slavo occidentale), il russo (slavo orientale) o il bulgaro (slavo meridionale). Di fatto la Grande Moravia occupava all’epoca un vastissimo territorio che corrisponde attualmente alla Cechia e Slovacchia e in parte alla Polonia, Germania, Austria, Slovenia, Serbia, Croazia, Ungheria, Romania, Ucraina e che confinava a sud con l’Impero Bulgaro, costituendo di fatto un continuum territoriale e per certi aspetti, appunto, anche linguistico. I Magiari si sarebbero poi insediati stabilmente nel bacino dei Carpazi a partire dalla fine del IX sec., fondando il Principato di Ungheria, il che avrebbe comportato la progressiva separazione tra gli Slavi del nord e quelli del sud, venendosi così a determinare in seguito per queste genti slave destini storicamente e linguisticamente alquanto differenti.

In particolare Cirillo, noto come “il Filosofo” per la sua profonda ed eclettica cultura, in virtù della sua vasta esperienza da poliglotta, conoscitore non solo di molte lingue ma anche di svariati alfabeti (oltre allo slavo parlava correntemente latino, greco, ebraico, arabo e khazaro – un dialetto turco), mise a punto il primo alfabeto slavo (detto glagolitico – da “glagol”, “parola, verbo”), costituito da circa 40 lettere, grazie al quale il sistema fonetico slavo veniva riprodotto in modo estremamente preciso, con una straordinaria corrispondenza tra grafema e fonema, ovvero segno grafico e sua pronuncia, molto meglio di quanto potessero fare gli alfabeti latino o greco, dotati solo di poco più di 20 lettere ciascuno. In paleoslavo, avvalendosi dell’alfabeto glagolitico e coadiuvati da dotti collaboratori, Cirillo e Metodio tradussero quindi i testi fondamentali della cristianità per poter provvedere più agevolmente all’opera di evangelizzazione delle genti slave. I due fratelli, con abili argomentazioni, riuscirono addirittura a ottenere il permesso da papa Adriano II di celebrare la divina liturgia in lingua slava, anticipando così di ben mille anni (!) ciò che avrebbe poi sancito il Concilio Vaticano II (1962-1965), concedendo al clero cattolico di svolgere l’ufficio divino nelle lingue nazionali. Grazie al coraggioso operato dei due fratelli una lingua “volgare” e “barbara”, quale lo slavo di allora, ebbe la possibilità di riscattare se stessa nonché, di riflesso, anche il popolo che in essa si identificava e che, per il suo tramite, avrebbe finalmente potuto incominciare a muoversi sulla scena storico-culturale da protagonista, sganciandosi dall’asservimento alle autorità franco-germaniche, romane e bizantine dell’epoca. Quando, però, in Moravia nell’870 il principe Rastislav fu deposto dal trono dal nipote Svatopluk, più accondiscendente nei confronti del clero franco-tedesco, si scatenò una feroce persecuzione nei confronti di Metodio (Cirillo nel frattempo era già morto) e dei loro discepoli accusati di essere degli scismatici propagatori di un’eresia e quindi incarcerati, torturati o venduti al fiorente mercato degli schiavi di Venezia. Il glagolitico e il paleoslavo, banditi quindi dalla Moravia dove ebbero vita gloriosa ma troppo breve, si diffusero poi in Bulgaria (il primo Stato slavo-meridionale, convertitosi al cristianesimo nell’864) all’epoca del saggio e illuminato re Boris I che accolse di buon grado i fuggiaschi seguaci dei due fratelli, acconsentendo con incredibile lungimiranza a che il suo regno diventasse ben presto fulcro e laboratorio culturale per tutta la Slavia, specie ortodossa.

Il 24 maggio è dunque una data di rilevante portata storica e culturale per tutto il mondo slavo, con cui si commemora al contempo la nascita del primo alfabeto slavo e della prima lingua slava in forma scritta, base per lo sviluppo delle successive letterature nazionali. In Bulgaria, terra d’elezione, le celebrazioni in onore dei due Santi, trasformatesi con il tempo in festeggiamenti per il patrimonio culturale slavo, risalgono addirittura al X-XI sec. In particolare, in Russia questa giornata commemorativa fu introdotta ufficialmente l’11 maggio del 1863, in occasione del 1000° anniversario dell’invenzione dell’alfabeto slavo. Questa festa tradizionale fu poi interrotta bruscamente nel 1917, con la Rivoluzione d’Ottobre, e quindi ripristinata a partire dal 24 maggio 1986, in occasione del 1100° anniversario della morte di Metodio; infine, nel 1991, subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica, acquisì lo status di festa nazionale. In questo giorno di festa, religiosa e civile, in tutto il vasto territorio della Federazione Russa si organizzano manifestazioni di varia natura: solenni liturgie e processioni di fedeli nelle principali cattedrali del Paese, concerti di musica sacra, esibizioni di canti e danze popolari, conferenze, letture in pubblico di opere letterarie, incontri con poeti e scrittori, mostre, festival, concorsi ecc., tutto all’insegna dell’unificazione delle genti slave e del consolidamento dei loro rapporti in nome di una comune matrice e tradizione culturale – al di là di certi deleteri particolarismi nazionali sfociati in conflitti armati nel corso dei secoli e, purtroppo, anche di recente, com’è tristemente noto. Una curiosità che riguarda l’Italia: notevole importanza viene conferita a questi festeggiamenti da parte delle comunità di bulgari e macedoni residenti a Roma, città in cui Cirillo morì e fu sepolto – precisamente nella Basilica di San Clemente, le cui reliquie furono traslate dalla Crimea in Italia dallo stesso Cirillo. I due fratelli, venerati come Santi indistintamente da cattolici e ortodossi, avendo svolto questa importante funzione di ponte spirituale e culturale tra la tradizione cristiana occidentale e quella orientale, gravida di implicazioni a più livelli, nel 1980 sono stati proclamati da papa Giovanni Paolo II compatroni d’Europa.

Cirillo – è ormai comprovato sul piano storico, linguistico e paleografico – fu l’ideatore non del più comunemente noto alfabeto che porta il suo nome, ma di un alfabeto più complesso, decisamente meno decifrabile per forma: il glagolitico. Secondo l’opinione della maggior parte degli studiosi, il glagolitico si baserebbe su differenti alfabeti, di cui Cirillo aveva piena padronanza, come ad esempio gli alfabeti latino, greco, ebraico, etiopico, copto, georgiano, armeno, cui andrebbero aggiunti persino segni alchemici e astronomici e rune bulgare. Ci si è chiesti perché mai Cirillo avesse attinto a così tante fonti, tra l’altro così differenti tra loro, quando avrebbe potuto più tranquillamente basarsi sui due alfabeti più correnti, quello latino e greco. Orbene, Cirillo per scopi dottrinali e liturgici avrebbe ideato appositamente un alfabeto del tutto nuovo, con cui poter rappresentare in forma scritta la lingua slava, affinché questa lingua ritenuta “barbara”, a partire appunto dall’alfabeto stesso, non si trovasse in alcun rapporto di sudditanza nei confronti delle altre lingue (e quindi culture) ritenute allora “sacre” per eccellenza (ebraico, greco e latino) e potesse invece competere quanto prima con esse su un piano di assoluta parità e sotto ogni punto di vista, sia liturgico-sacrale sia di prestigio culturale in senso più lato.

Riguardo alla valenza mistico-sacrale di questo alfabeto, è importante sottolineare come il nome di ciascuna lettera costituisca la prima parola di un verso e i versi a loro volta, letti in successione, formino una preghiera. Al riguardo esistono differenti versioni e interpretazioni delle cosiddette preghiere alfabetiche rinvenute. Inoltre, leggendo in ordine alfabetico i nomi delle lettere a gruppi di tre, essi costituiscono delle microfrasi di senso compiuto di contenuto religioso. Nell’elaborazione di questo alfabeto così originale sono dunque evidenti gli intenti del suo ideatore: mnemotecnico e catechetico-dottrinale. Il nome stesso di questo alfabeto deriva da “Glagol”, che si può intendere anche nel significato propriamente cristiano di “Verbo”, “Parola” di Dio. Infine, è curioso notare che, come accade in genere per qualsiasi alfabeto ritenuto “sacro”, presso gli Slavi meridionali alle lettere glagolitiche erano attribuiti poteri magici e non di rado erano usate come amuleti.

A sinistra: alfabeto glagolitico tondo o bulgaro (IX sec.). A destra: alfabeto glagolitico quadrato o croato (XIV sec.)

 

 

Già attorno al X secolo, qualche decennio dopo la nascita del glagolitico, data la sua oggettiva difficoltà e scarsa praticità, il sovrano bulgaro Boris I – lo stesso che aveva offerto generosamente asilo ai seguaci di Cirillo e Metodio in fuga dalla Moravia, facendosi premuroso custode del glagolitico e del paleoslavo caduti in disgrazia insieme ai loro inventori – aveva commissionato a un loro allievo, certo Clemente di Ochrida (allora in Bulgaria, ora in Macedonia), un alfabeto più semplice, basato fondamentalmente su quello greco, già più familiare in terra bulgara data la vicinanza a Bisanzio. Si ritiene che questo alfabeto sia stato poi perfezionato da un altro loro allievo, Costantino di Preslav (Bulgaria). In queste circostanze nasce il cirillico propriamente detto, di chiara matrice greco-bizantina, così chiamato dagli allievi ideatori in onore del maestro e che sta alla base del cirillico moderno.

 

Alfabeto cirillico antico (X sec.)

 

 

Il cirillico così concepito ebbe immediata e grande fortuna: si impose da subito e finì con il soppiantare del tutto, o quasi, il glagolitico, diffondendosi innanzitutto tra gli slavi meridionali, in Bulgaria – dove si assistette a un’incredibile fioritura dell’attività scrittoria, tramite una frenetica opera di traduzione in paleoslavo dell’enorme patrimonio letterario di lingua greca nonché la conversione in cirillico dei testi già tradotti dal greco in paleoslavo con l’alfabeto glagolitico –, quindi tra gli slavi orientali, nella cosiddetta Rus’ di Kiev, specie in seguito alla loro conversione al cristianesimo bizantino avvenuta ufficialmente per volontà del principe Vladimir nell’anno 988.

L’equivoco relativo alla convinzione che Cirillo sarebbe stato l’inventore dell’alfabeto cirillico è dovuto, quindi, innanzitutto al nome fuorviante e al fatto che solo in epoca relativamente recente si è potuto affermare con certezza la provenienza dell’alfabeto glagolitico (Moravia) e la sua anteriorità rispetto a quello cirillico – ad esempio, grazie al rinvenimento di palinsesti in cui testi in cirillico risultano sovrascritti a testi in glagolitico, ma non si verifica mai il contrario.

 

L’alfabeto cirillico antico, come sopra accennato, si basava fondamentalmente sull’alfabeto greco, dal quale erano state attinte tutte quelle lettere che potevano ben rappresentare i suoni esistenti anche nella lingua slava. Per i suoni precipuamente slavi, non contemplati cioè nella lingua greca, si attinse invece alle lettere già concepite a suo tempo da Cirillo per il glagolitico. (È necessario aprire qui una piccola parentesi. Gli slavi pagani sin dal VI sec. sembra utilizzassero, per scopi divinatori o di calcolo, un codice di ca 130 segni, le rune bulgare, e avevano già fatto dei tentativi per scrivere la loro lingua in caratteri greci e latini, ma invano, proprio per la difficoltà a rappresentare certi specifici suoni della loro lingua, come testimonia il monaco Chrabr nel suo celebre trattato Sulle lettere, risalente al X sec.). È significativo che il cirillico antico abbia conservato pressoché lo stesso nome delle lettere del glagolitico, per cui in esso persiste lo stesso intento catechetico-mnemotecnico cui ho fatto prima riferimento. È stato, inoltre, fatto notare come il tratto costitutivo fondamentale delle lettere dell’alfabeto glagolitico sia il cerchio (simbolo della perfezione divina), mentre quello delle lettere del cirillico sia l’asta verticale (che rimanda al sacrificio di Cristo sulla croce). Il cirillico delle origini contava un numero di lettere addirittura superiore al glagolitico (ben oltre 40) in quanto, per eccessiva fedeltà al modello greco, furono inserite anche lettere greche del tutto superflue per la fonetica slava, in seguito abolite.

Nel corso del tempo furono avviate due importanti riforme ortografiche che comportarono, appunto, l’abolizione di tutte quelle lettere che ormai non corrispondevano più a suoni reali (ad esempio, le lettere che rappresentavano suoni nasali un tempo effettivamente pronunciati – tra le lingue slave moderne si sono conservati in polacco). In particolare, una prima riforma fu attuata negli anni 1708-1710, voluta da Pietro il Grande che impose di modificare anche il tipo di carattere delle lettere, cioè più stilizzate e tondeggianti secondo lo stile allora in voga in Occidente per le lettere latine. L’alfabeto così riformato da Pietro il Grande fu definito alfabeto civile, per distinguerlo dal cirillico antico, ormai relegato a usi solo liturgici e per questo da allora detto anche ecclesiastico. Una seconda riforma, volta a un’ulteriore semplificazione, si attuò negli anni della Rivoluzione di Ottobre, nel 1917-1918. Dagli oltre 40 grafemi originari si passò dunque progressivamente alle 33 lettere odierne. L’alfabeto cirillico antico resta comunque attuale per comprendere, ad esempio, le iscrizioni sulle icone.

 

A sinistra: alfabeto “civile” dopo la riforma ortografica di Pietro il Grande del 1708-1710. A destra: alfabeto cirillico russo moderno (stampatello e corsivo) dopo l’ultima riforma ortografica del 1917-1918.

 

 

Fonte: da un’intervista alla Prof.ssa Treu pubblicata su http://talkie-walkie.assimil.it/culture/bello-saper-scrivere-cirillico/



Categorie:E02- Filologia slava - Филология славы

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