Il Demone (titolo originale in russo: Демон) è un poema in versi di cui Michail Jur’evič Lermontov scrisse tra il 1829 e il 1841 otto redazioni, l’ultima delle quali è considerata quella canonica, mentre la settima non ci è pervenuta. Si tratta del poema romantico più celebre della letteratura russa, mirabile incontro di Amore e Morte, specchio dell’anima tumultuosa e appassionata del suo autore.
Il poema è diviso in due parti, ciascuna delle quali consta di sedici strofe, per un totale di 1132 versi. Il metro è il tetrametro giambico, con osservanza dell’alternanza delle rime piane con quelle tronche. In lingua originale il testo è ricco di forme arcaiche, accenti antichi e licenze poetiche. L’VIII e ultima redazione del poema, scritta nel 1839 e rifinita nel 1841, è anche conosciuta come la “seconda caucasica”, essendo la sesta, elaborata nel 1838, la “prima caucasica”, dal quale testo non si discosta poi tanto se non per il fatto che qui il demone non viene sconfitto. Gli avvenimenti solo in queste versioni sono collocati nel Caucaso, con riferimenti a stili di vita e costumi della Georgia feudale, splendide descrizioni paesaggistiche, e la principessa Tamara che sostituisce la pallida monaca senza nome delle varianti precedenti.
Trama
Parte prima
(RU)«Печальный Демон, дух изгнанья, Летал над грешною землей, И лучших дней воспоминанья Пред ним теснилися толпой; Тex дней, когда в жилище света Блистал он, чистый херувим, […] Когда он верил и любил, Счастливый первенец творенья!» | (IT)«Il proscritto del cielo, il triste Demone Volava sulla terra dei peccati, Ed i ricordi dei felici giorni Si affollavan nella sua memoria: Dei giorni in cui nelle celesti plaghe, Egli luceva puro cherubino […] Quando credeva ed amava: felice Primogenito di tutto il creato» |
(Michail Ju. Lermontov, “Il Demone”, trad. Eridano Bazzarelli, Bur, Milano, 1990, I, 1-6; 14-15) |
Lucifero, l’angelo cacciato dal Paradiso e in esilio perpetuo, vaga solitario, tediato, e afflitto dalla nostalgia. Mentre sorvola la lussureggiante Georgia, la sua attenzione è rapita dalla casa di Gudal, costruita su alte mura non lontano dal fiume Aragvi. È giorno di festa: la giovane principessa Tamara è stata promessa sposa e fervono i festeggiamenti per il fidanzamento. La fanciulla, circondata dalle amiche, siede, secondo un costume locale, sul tetto della casa, ricoperto di tappeti, quando si alza e danza per l’ultima volta nella vita. Sensuale e bellissima, «colma di gioia infantile», per quanto sovente «un segreto dubbio» le adombri il volto, Tamara balla e il Demone la vede e «di colpo un’emozione inspiegabile» agita la sua anima e riempie «una beata armonia il deserto del suo muto cuore». Di nuovo, dopo aver ricordato con malinconico rimpianto il tempo della sua vita di angelo, il Demone sente rinascere in sé l’amore.
Ma la ragazza è in procinto di unirsi in matrimonio e il Demone, geloso, mentre il fidanzato a cavallo, con una carovana a seguito, si dirige verso la casa di Gudal, gli inculca nella mente pensieri lussuriosi, di modo che quando passa accanto a una chiesa, non si ferma a pregare, come d’uso, e prosegue dritto, smanioso di incontrare la donna. E allora l’astuto demone mette sulla sua strada dei briganti Osseti che lo uccidono e rubano i tesori custoditi nei carri. Il «valente destriero» porta a destinazione il suo padrone morto. Il dolore di Tamara è grande, anche se mai aveva veduto il giovane. Si getta a letto e piange; ed ecco che una voce incantevole le parla, le sussurra di non versare lacrime per colui che non potrà sentire la sua tristezza, tanto preziosa, e che già ode i canti del Paradiso, sufficienti a rallegrarlo. Il seduttore conclude la sua “canzone”, tanto carezzevoli risuonano le parole, con la promessa di tornare e mandarle «sulle ciglia di seta sogni dorati…». Così Tamara comincia a fare sempre lo stesso sogno: un essere «nebuloso e muto», di bellezza non umana, si china sul suo cuscino e la guarda pieno d’amore e di mestizia. Chi è dunque che le turba il sonno?
Parte seconda
Tamara sente di essere dominata da una forza oscura, ne prova contro la sua volontà attrazione e, nella speranza di tenerla lontana da sé, entra in convento. Di giorno però lei stessa sospira nell’attesa che lui arrivi, e di notte la creatura dagli occhi tristi e dalla voce melodiosa torna a popolare i suoi sogni. Tamara è tormentata: desidera pregare i santi, ma «il cuore manda la preghiera» a colui che teme e al contempo desidera.
Il Demone vola intorno al monastero ed esita. Non osa ancora violare la santità di quel luogo e per un attimo pensa di «abbandonare il suo crudele intento». Tamara canta nella sua cella un canto dolce e contrito, e il Demone comprende finalmente «l’angoscia dell’amore». Vuole andar via, ma le ali non gli obbediscono e una «lacrima di piombo» scende dai suoi occhi spenti, si fa fuoco e trafigge la pietra. Commosso dalla tenerezza del canto, il Demone entra nella cella di Tamara. Sente l’anima aprirsi al bene, è pronto ad amare di nuovo e ha paura, nonostante il cuore orgoglioso, come un amante qualunque al primo incontro con la persona cara, quando vede accanto a Tamara un cherubino. Con la sua canzone la ragazza ha infatti invocato l’aiuto dell’angelo e non, come ha creduto il Demone, chiamato lui. «Così, invece di un tenero saluto», il Demone deve sentirsi dire dall’angelo di indietreggiare, che Tamara è il suo amore sacro, e in lui svanisce la gioia, il desiderio del bene, e l’antico odio si risveglia in tutta la sua atroce potenza.
Satana grida all’angelo che la donna è sua e l’angelo scompare. Comincia il dialogo tra Tamara e il Demone, che rivela la sua identità, sebbene a lei sia ben nota. Lui è «colui che nessuno può amare», il «signore di scienza è libertà», il nemico del cielo e il male della natura. Nonostante l’infinito potere di cui è portatore, è ai suoi piedi. Nulla gli importa più ormai, senza di lei l’eternità è orrore. Tamara gli domanda perché tra tutte le donne ha scelto di amare lei. Il Demone non lo sa. Sa solo che la sua anima è inquieta, che anche in paradiso la felicità non era perfetta dal momento che lei non c’era. Le descrive la sua vita nei secoli saturi di «amara gioia e amara sofferenza», le spiega quanto sia triste vivere solo per sé, sprofondato nella noia, quanto anche compiere il male lo lasci indifferente. La sua infelicità non può mutare né cessare con la morte, nondimeno la sua vita, prima di amare, era del tutto simile alla morte, priva di speranza e di moti del cuore.
Tamara non disdegna la sofferenza del demone, ne è attratta, ma teme che la sua parola sia ingannevole, che lui voglia solo sedurla, perciò gli chiede di farle un giuramento solenne: che il suo è amore e non menzogna. E il Demone promette. Con bellissima poesia imbastisce un modello di alta retorica in cui viene a confluire la «sua energia erotica», la conoscenza del cuore femminile, la sicumera del grande tentatore. A Tamara offre l’amore eterno e immutabile, la farà «regina dell’universo», le rivelerà «l’abisso dell’ardita conoscenza», le darà il dominio del mondo e, trascinato dall’eloquenza, anche l’impossibile: palazzi di ambra e di turchese, la corona nuziale strappata dalle stelle e bagnata nella rugiada. «Amami!», prega e ordina il Demone a conclusione del giuramento.
E Tamara si lascia baciare. Le ardenti labbra di Satana sfiorano la sua bocca tremante, i suoi occhi la guardano profondamente e la folgorano. Il bacio del Demone dona la morte, è veleno che penetra nel cuore. Il grido di lei lacera la notte. Con quel grido, un misto di terrore, amore, rimprovero, supplica, Tamara dice addio alla vita.
Tamara morta, distesa nella bara ha sulle labbra un sorriso strano, come a voler fermare il ricordo del bacio travolgente, anche se fatale. Gudal la fa seppellire in un tempio degli antenati, tra le nevi del monte Kazbek. Intanto l’angelo, volando nello spazio del cielo infinito, stringe al petto l’anima di Tamara. Appare come un fulmine il Demone e grida di nuovo, ribollente di odio e con sguardo maligno: «Lei è mia!», ma stavolta l’angelo s’impone. L’anima di Tamara — chiarisce — è di quelle «la cui vita è un unico momento di un insopportabile dolore, e di mai raggiungibili diletti», un’anima non creata per il mondo, che ha dubitato, errato, sofferto ed amato, e perciò predestinata al paradiso.
(RU)«И проклял Демон побежденный Мечты безумные свои, И вновь остался он, надменный, Один, как прежде, во вселенной Без упованья и любви!…» | (IT)«E maledisse il Demone sconfitto I suoi sogni di follia e d’amore E di nuovo egli rimase, altero, Nell’universo, e solo come prima, Senza speranza alcuna. E senza amore!…» |
(Michail Ju. Lermontov, “Il Demone”, cit., II, 1055-1059) |
Edizione di riferimento
Michail Jur’evič Lermontov, Il Demone, introduzione, traduzione e note di Eridano Bazzarelli, BUR, Milano, 1990
Fonte: Wikipedia
Categorie:E07.01- Fra Sette e Ottocento, E10.01- Schede di Letteratura russa moderna, W03.01.02- Letteratura russa I
Rispondi