Schede di Cinema

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Schede di Cinema
(a cura di Antonio De Lisa)

 


“La forma dell’acqua” di Guillermo Del Toro

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Al botteghino sembra che vada a gonfie vele. Tra i premi internazionali, altrettanto. Qual è il segreto di questo film di Guillermo Del Toro? Non ci allontaniamo molto dal vero, dicendo che è un film d’amore girato da un regista di culto: questo vuol dire che è una giusta miscela tra popolare e colto. La storia d’amore è ambientata negli Stati Uniti durante i primi anni della Guerra Fredda, questo vuol dire che ha anche un contenuto politically correct. Resta da decidere cosa possa significare questa fiaba, perché di una favola si tratta. Un dio fluviale migliore degli uomini, apprezzato solo da chi è senza parole, senza linguaggio, che usa solo quello del cuore? Forse. Il film ha ottenuto 13 candidature a Premi Oscar, è stato premiato al Festival di Venezia, 5 candidature e vinto 2 Golden Globes, 12 candidature e vinto 3 BAFTA


“Il filo nascosto” (Phantom Thread) di Paul Thomas Anderson

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Il regista Paul Thomas Anderson ha collezionato nel tempo film sempre di un certo interesse: Magnolia (1999), There Will Be Blood (“Il Petroliere”, 2007), The Master (2012). Ora si presenta con l’acclamatissimo Il filo nascosto (Phantom Thread). In inglese quest’espressione indica quel movimento ripetitivo che le ricamatrici facevano anche quando avevano smesso di ricamare. Quello con cui si cuce è come un “filo fantasma”.
Il livello attoriale del film è di alto profilo: Daniel Day-Lewis offre una prestazione di tutto rispetto (semmai è la voce con cui è stato doppiato in italiano che continua a non convincermi); Lesley Manville interpreta Cyrill, la sorella dello stilista (ma è anche una figura-sostituto della madre); Vicky Krieps, l’Alma del film, è adeguata nel ruolo di personaggio insieme ingenuo e crudele.
A prestare fede a certe dichiarazioni del regista, Cyrill sembrerebbe una rilettura del personaggio di Mrs. Danver di “Rebecca” di Hitchcock; Anderson ha parlato esplicitamente di quell’opera come di un modello.
Queste sono comunque considerazioni secondarie.
Di che parla questo film? Di tante cose: dell’amore, del rapporto di coppia, della dannazione della creazione artistica. Lo sviluppo dei personaggi è ben delineato: uno sale, l’altro scende. Trama perfetta.
Le battute sono al limite dell’afasia; ma questo evidentemente è una scelta voluta.
Se si può fare una notazione a margine bisogna dire che è l’uso della colonna sonora ad essere del tutto i incongrua, per non dire totalmente fuori luogo. Grande delizia per gli occhi, pochissima per le orecchie.


It di Andy Muschietti

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It, sotto le apparenze dell’horror, è solo una storiella. Ma storiella ben fatta. Bisogna saper apprezzare certi particolari dell’arte filmica, come la triplice angolazione della ripresa della barchetta all’inizio; ma anche certe sfumature dell’arte narrativa: per esempio, i ragazzi sono senza genitori, o se ce l’hanno ce l’hanno a metà, solo il padre, solo la madre. Gli attori Bill Skarsgård, Owen Teague, Jaeden Lieberher, Finn Wolfhard, Wyatt Oleff sembrano sempre a loro agio, segno di una buona conduzione. Riescono a dare il senso di questo film, il cui tema sono le paure dell’adolescenza. E’ come horror che delude.


Blade Runner 2049 di Denis Villeneuve

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L’atteso ritorno dei replicanti, come sequel del Blade Runner del 1982 diretto Ridley Scott, riesce fino a un certo punto, secondo me. L’immaginario e le immagini del film sono strepitosi, per merito soprattutto della fotografia di Roger Deakins. Ryan Gosling e Harrison Ford fanno la loro parte. E’ la sceneggiatura che lascia a desiderare: a un certo punto il regista non sa più che pesci prendere. Gli sceneggiatori Hampton Fancher e Michael Green non sembrano all’altezza del compito. Il regista comunque una sua direzione la imprime, ma un po’ sfocata alla fine. Il problema di questi film è la mancata fusione tra la supertecnologia che mettono in campo e il latente contenuto che amoreggia col filosofese più andante


“Madre” di Darren Aronofsky

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Il regista del film con protagonisti Jennifer Lawrence e Javier Bardem si è lamentato perché il suo film non è stato capito. A mezz’ora dall’inizio del film confesso che neanche io avevo capito granché. La situazione era bloccata, percepivo solo l’inquietudine di Jennifer Lawrence. Volevo comunque dare una chance all’autore di film come “Il cigno nero” e “Requiem for a dream”. Ma a un certo punto mi sono accorto che l’ambizione superava di gran lunga la capacità di realizzare le idee che erano alla base della pellicola. Grandiosamente simbolico, il film non resta tra le cose memorabili che ho visto, ma Aronofksy mi piace, solo che non è Fellini o Francis Ford Coppola. E non è colpa sua

 

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