Un secolo di immigrazione italiana in Argentina

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Un secolo di immigrazione italiana in Argentina

L’Argentina è per i lavoratori del vecchio mondo la terra promessa; gli italiani sono i più coinvolti in questa corsa sfrenata sbarcando negli anni dall’1886 al 1889 in quantità crescenti (43.000, 67.000, 75.000, 88.000). Nel 1889 la prosperità arriva al culmine, e nel 1890 arriva la crisi. L’afflusso in Argentina fu il maggiore tra quelli verso le Americhe. La maggior parte degli immigrati provenne dall’Italia settentrionale. Il principale periodo dell’immigrazione italiana in Argentina da un punto di vista quantitativo è quello che va dal 1876 al 1925. Dai censimenti si vede che la città di Buenos Aires ospita contingenti di italiani.

Motonave Giulio Cesare

“Mi emigro per magnar…”

In uno dei più importanti libri sull’emigrazione, Sull’Oceano, di Edmondo De Amicis, pubblicato nel 1889, un emigrante lo dice in maniera molto efficace: “Mi emigro per magnar”. Lo avevano esortato a restare, perché il governo avrebbe bonificato la Sardegna, la Maremma e l’Agro romano. Ma lui aveva risposto: “Ma se intanto mi no magno! Come se ga da fare a spetar o no se magna?”‘. Indubbiamente, non era questa la sola ragione. Molti giovani emigravano per sottrarsi alle famiglie, altri speravano di fare fortuna, altri, infine, erano costretti ad allontanarsi dall’italia per ragioni politiche.

Dal punto di vista statistico, gli italiani nati in Italia che oggi vivono in Argentina sono circa 1.198.000; calcolando anche i discendenti fino alla terza generazione, cioè quelli che hanno diritto alla cittadinanza italiana (ius sanguinis), si raggiungono i 5-6 milioni, per lo più concentrati a Buenos Aires. Fino a questo momento, gennaio 2003, nessuna statistica è mai riuscita a stabilirlo con certezza. Nel Dossier statistico immigrazione 2002, pubblicato dalla CARITAS a fine 2002, ci sono due capitoli dedicati a questo fenomeno: Argentina nuovo paese di emigrazione e Gli italiani nel mondo e i flussi migratori con l’estero. www.caritasroma.it/immigrazione.

Frontespizio dell'elenco dei passeggeri (si noti la dicitura:"compresi gli emigranti") imbarcati sul piroscafo "Ravenna" partito dal porto di Napoli il 24 gennaio del 1914 e giunto a Buenos Aires (Argentina) nel febbraio dello stesso anno. Il modulo quì compilato reca l'intestazione della "Società Italia di Navigazione a Vapore" ma, in realtà, ricalca il modello prescritto dal Regolamento di applicazione della legge n. 23 sull'emigrazione del 31 gennaio 1901.Nel momento dell'arrivo in un porto argentino il comandande (o un suo incaricato) doveva presentare alle autorità la lista dei passeggeri imbarcati con allegati tutta una serie di documenti tra cui il certificato di emigrazione della nave e gli speciali permessi di sbarco che consentivano ai passeggeri con oltre 60 anni di età di essere accettati in terra argentina.

Frontespizio dell’elenco dei passeggeri (si noti la dicitura:”compresi gli emigranti”) imbarcati sul piroscafo “Ravenna” partito dal porto di Napoli il 24 gennaio del 1914 e giunto a Buenos Aires (Argentina) nel febbraio dello stesso anno. Il modulo quì compilato reca l’intestazione della “Società Italia di Navigazione a Vapore” ma, in realtà, ricalca il modello prescritto dal Regolamento di applicazione della legge n. 23 sull’emigrazione del 31 gennaio 1901.
Nel momento dell’arrivo in un porto argentino il comandande (o un suo incaricato) doveva presentare alle autorità la lista dei passeggeri imbarcati con allegati tutta una serie di documenti tra cui il certificato di emigrazione della nave e gli speciali permessi di sbarco che consentivano ai passeggeri con oltre 60 anni di età di essere accettati in terra argentina.

L’immigrazione italiana in Argentina – si legge in una ricerca dell’Università Ca’ Foscari di Venezia (Progetto A.L.I.A.S.)-  è un’esperienza di lunga durata: i primi pionieri sono giunti alla fine del Settecento e la massiccia immigrazione si può racchiudere tra gli anni 1850 e 1959. Gli italiani che arrivarono in Argentina provenivano da tutte le regioni d’Italia, soprattutto dal Nord nell’Ottocento (Piemonte, Liguria, Lombardia, Veneto) e dal Sud nel Novecento (Calabria, Sicilia, Campania).

Gli italiani, segnala F. Devoto (In Argentina di Fernando Devoto “Storia dell’Emigrazione italiana. Arrivi” a cura di P. Bevilacqua, A. De Clementi e E. Franzina, Donzelli Editore, 2002.), erano troppo numerosi per non essere presenti in tutti gli spazi e in tutti i ceti sociali,… Quasi tutto in Argentina può essere collegato agli italiani, ma non sappiamo bene che cosa sia specificamente italiano. Dai censimenti argentini la situazione risulta la seguente: nel 1869, gli italiani erano il 4% del totale della popolazione residente; nel 1895, il 12,5%; nel 1914 il 12%; ancora nel 1960 erano il 4,5%. In altri grandi paesi di emigrazione italiana la stessa quota non ha superato l’1% del totale della popolazione in Francia o ha superato di poco il 2,5%, come negli Stati Uniti.

L’immigrazione rappresenta un fenomeno soprattutto urbano. Il primo censimento nazionale del 1869 registrava che il 59% di tutti gli italiani residenti in Argentina viveva nella città di Buenos Aires e il 3% del totale viveva nella città di Rosario. Buenos Aires è il luogo nel quale l’immigrazione europea sperimenta con alterne fortune il percorso dell’ascesa sociale: è una città borghese, popolare, aristocratica, proletaria, cosmopolita.

L’immigrazione di massa in Argentina è creata da spazi legislativi: la Costituzione argentina del 1853 sanciva la liberta d’immigrazione e la legge di Immigrazione e Colonizzazione del 1876 concedeva molte facilitazioni agli immigranti (alloggio gratuito per cinque giorni, biglietto gratuito in treno per l’interno, ufficio di Collocamento, promesse di concedere terra pubblica con effetti, nella pratica, limitati). Dall’altra parte, la difficoltà a integrarsi era notevole. La difesa dell’italianità, l’idea di considerarsi ospiti a tempo (lavoratori con un’alta aspettativa di ritorno), rete sociali ristrette (un lavoratore italiano si trovava, generalmente, ad avere un proprietario di casa e un padrone della sua stessa nazionalità) generavano una integrazione limitata creando una forte dimensione nostalgica. Questa situazione era considerata difficile dai dirigenti del movimento operaio argentino e dalle nuove forze politiche di sinistra: i legami etnici erano considerati un ostacolo allo sviluppo della coscienza di classe e all’inserimento degli immigrati nelle nuove forme organizzative operaie. I gruppi dirigenti argentini erano preoccupati per tre questioni: l’identità nazionale, il problema del conflitto sociale e la questione urbana (case promiscue e prostituzione). In questo contesto, il governo promulgò nel 1902 una legge anticostituzionale (colpiva il diritto di tutti gli abitanti, nativi o stranieri, di transitare liberamente dentro e fuori il territorio nazionale); la legge permetteva di espellere qualsiasi straniero ritenuto “pericoloso” senza un intervento giudiziario, soltanto attraverso una decisione unilaterale del ministero dell’interno. Molti italiani furono colpiti dal provvedimento, alcuni collegati ai movimenti sindacalisti e anarchici, altri senza essere legati ad alcuna attività politica o criminale. La percezione collettiva della comunità italiana in questo periodo fu ambivalente. Alcuni pensavano che gli italiani fossero la comunità da privilegiare. L’allora deputato C. Saavedra Lamas si espresse in un dibattito parlamentare nel quale proponeva un accordo speciale con l’Italia per attirare nuovi immigrati. Stabiliva le solite preferenze: piemontesi prima, italiani del Nord dopo, meridionali, alla fine. Questa tendenza resterà a lungo nella classe dirigente argentina: ancora nel 1947, quando il governo di Perón spedì una delegazione in Italia per attirare immigrati, si consigliava che il reclutamento dovesse tenersi “a Nord di Roma”.

Sarebbe stato ben difficile che una società così eterogenea come quella argentina fosse una società integrata. Forse il modello più utile è diventato quello dove tutti gli elementi coesistono insieme senza perdere la loro identità. Si può dunque parlare di una situazione di pluralismo poco conflittuale, dove ci sono posti di lavoro, spazio di vita e minore distanza tra gruppi sociali. Un pluralismo sociale tollerante e tollerabile. L’associazionismo italiano è stato sempre molto forte, generando negli associati una leadership interna non interessata alla cittadinanza argentina.

Tra le due guerre nacquero grandi istituzioni sportive che costituirono notevoli fattori di integrazione. Creati da italiani, i due maggiori club di calcio (il Boca Juniors e il River Plate) trovarono un pubblico di tutte le nazionalità, non solo italiana.

La musica popolare, segnatamente il tango, fu anche un veicolo di integrazione musicale e sociale.

Le due vie di ascesa sociale per i figli degli immigranti furono l’esercito e la chiesa. Nel mondo della politica, l’apporto italiano alla nascita dei primi sindacati e alla diffusione di anarchismo, socialismo e comunismo fu decisivo.

Durante la seconda guerra mondiale la “lobby italiana”, insieme ovviamente ai militari filo-tedeschi, risultò decisiva per la scelta di neutralità dell’Argentina.

Dal punto di vista dell’integrazione sociale, l’esperienza degli immigrati nel secondo dopo guerra non fu differente da quella che avevano vissuto i loro predecessori nei decenni precedenti. Gli immigranti italiani, anche se in modo diseguale, si integrarono in forma stabile nel sistema occupazionale argentino. Molti facevano parte della classe media locale, assumendone gli stili di vita: diventarono proprietari delle loro case; avevano accesso abbastanza semplice alla scuola media e anche all’università (sistema educativo gratuito); con successo nel commercio, nelle libere professioni e nelle arti. Nel 1958 un italo-argentino, Arturo Frondizi, venne per la prima volta eletto democraticamente alla presidenza del paese.

Dopo gli Anni ’50 il processo di integrazione sociale fu più veloce che nei periodi precedenti, grazie al clima democratico nella cultura e nel mondo sociale, caratteristico della società argentina degli anni sessanta.

Negli anni Settanta la presenza di italo-argentini ai vertici dello stato non fece più notizia, tra i cinque dittatori militari che occuparono la presidenza, quattro avevano origini italiane: Lanusse, Viola, Galtieri, Bignone.

Come segnala Raffaele Rauty (Raffaele Rauty, Il sogno infranto, Clessidre. Manifesto libri, 1999), “…interi paesi del Sud si sono ritrovati all’estero e quando sei negli Stati Uniti, alla quinta persona che incontri, il suo cognome, se non è esplicitamente italiano, ha comunque una radice italiana; e così capita anche in molte terre dell’America del Sud.” Afferma, inoltre, che gli italiani, “hanno contribuito in modo determinante allo sviluppo di sé e dei paesi nei quali si sono recati, classe subalterna che ha subito repressioni e ostracismi, miserie e aggressioni… Certo di quella migrazione sembra sussistere poca memoria…”

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