Sommario di Storia della Psichiatria- 2. dal Medio evo all’età classica

Sommario di Storia della Psichiatria- 2. Dal Medio evo all’età classica

“La fonte Castalia non emana più acqua”

La grande cultura scientifico-filosofica, che ha caratterizzato con la sua capillare diffusione l’Occidente classico, nel V secolo d.C. crolla, distruggendo con sé la cultura medica, filosofica e psichiatrica. Le grandi città decadono o sono distrutte; i centri universitari scompaiono. Giuliano nel IV secolo d.C. con sgomento nota la decadenza irreversibile di una società che aveva per secoli, dal V secolo a.C. per quasi mille anni, dato un contributo decisivo alla civiltà, paragonabile solo a quella raggiunta nel XIX e nel XX secolo. Egli manda il suo medico personale, Oribasio, a Delfi a chiedere perché accada tutto ciò: la Pitia, una contadina analfabeta, gli risponde: “dì al tuo imperatore che la fonte Castalia non emana più acqua, la quercia di Zeus è seccata, il tempio di Apollo è crollato”.

Il ciclo della decadenza

Dal VI al XII secolo d.C. si assiste al ciclo della decadenza, caratterizzato da medici esegetici, dalla medicina araba e infine da quella monastica. Dopo il crollo dell’Impero Romano, come dice lo storico Ammiano Marcellino, che, come un organismo umano è nato, si è sviluppato, è diventato stabile, è quindi invecchiato ed è morto, la medicina, la neurologia e la psichiatria vengono a fare parte di antologie ripetitive, nelle quali i vari capitoli sono intitolati ai grandi del passato: per l’isteria si scrive “come sosteneva Ippocrate….Galeno….Erofilo”, e così per le freniti, per la mania, per l'”ebetudine” e così via.

Questo periodo storico di decadenza nasce con Oribasio nel IV secolo e continua sino al VII secolo d.C. con Alessandro di Tralles, Aetio di Amida, Paolo di Egina e poi al IX secolo con Theofilo, Actuarius, Myrepsis, Prisciano, Placido Papiriensis sino a giungere al primo medico europeo, Marcello di Bordeaux, invero preceduto da Aulo Cornelio Celso.

Un ruolo importante sul piano terapeutico vengono ad assumere le comunità cristiane, rifacendosi al Cristo “curatore di anime e scacciatore di demoni”: si pensa che l’uomo che genuinamente tiene Gesù nel cuore abbia una forte difesa contro le emozioni e le malattie mentali. Le Università classiche, da Smirne ad Alessandria, sono distrutte e le loro biblioteche bruciate: non esisterà più sino al XIII secolo alcun centro di studio. I malati mentali viaggiano verso i monasteri, si rivolgono al santo che a loro dire può agire in via benefica, ad esempio a San Clementino. Non abbiamo alcun testo che possa documentare cosa sia accaduto sul piano assistenziale, strutturale, terapeutico e sull’incidenza delle malattie psichiatriche. La malattia mentale, come quella neurologica ed internistica, naturalmente esiste, così come esisteva nel periodo prescientifico.

Scuola araba, monastica e impostazione demonologica

Tra il VII e il XIII secolo fiorisce dapprima la medicina araba con Rasez, Avicenna e Averroé, che documentano niente altro che una non sempre precisa esegesi delle opere greche, specie di quelle di Galeno. Si trovano nelle loro opere per la parte psichiatrica assai sviluppato il tema della follia d’amore e quello della malinconia da “indemoniamento”.

Riprendono la medicina araba i monaci fra il X e il XII secolo: la malattia mentale nasce da un castigo di Dio per le colpe commesse. Da citare la scuola Salernitana e quella fondata da S. Bernardo da Chiaravalle. Sulla base della colpa e del castigo nel XVI e nel XVII secolo nascerà la psichiatria demonologica, fondamento dell’Inquisizione; il concetto è chiaro, come appare nel “Malleus maleficarum” di Sprenger e Hinstitor: tutti i malati mentali sono indemoniati, perché la forza malvagia, insinuandosi negli umori, contagia il corpo: l’uccisione con il rogo o l’impalamento è una grazia perché il corpo indemoniato viene così distrutto e l’anima finalmente liberata sale vicino a Dio.

La rinascita con le Università del XIII secolo

La psichiatria rinasce con le prime Università nel XIII secolo: con meraviglia e profonda commozione viene alla luce l’enorme patrimonio culturale del mondo greco-romano. Studiosi senza tradizione non potevano che ammirare e commentare il glorioso passato. I primi studiosi che nel XIII secolo scrivono sorprendenti trattati di psichiatria sono Bernardo Gordonio (fondatore dell’Università di Montpellier) e due secoli dopo Perdulcis e Thomas Willis.

Gordonio fonda l’Università di Montpellier e lascia un’opera, “Lilium Medicinae”, dove il capitolo neuropsichiatrico viene denominato “malattie del capo”, in cui egli descrive, generalmente citando Galeno, i seguenti disturbi: letargia, disturbi della memoria, sonnolenza, stupore, insonnia, mania, malinconia, melanconia d’amore, frenite, incubo, epilessia, spasmo.

I consigli terapeutici sono quelli desunti dalla psichiatria classica, specie da Galeno: curare con elleboro, theriaca, oppio e così via.

Thomas Willis

All’inizio del XVII secolo compaiono due trattati di psichiatria: il “de morbis animi” di Perdulcis, medico di Parigi, e il “de anima brutorum” di Willis, nato in Inghilterra. Il primo trattato comprende molti capitoli con una nosologia simile a quella che verrà poi ripresa nel XIX secolo: parafrosinie (psicosi paranoidi), frenite, malinconia, mania, licantropia (già da Aetio di Amida riconosciuta come malinconia), mania demoniaca (per il tipo di delirio) e gli “energumeni”, ossia i veri indemoniati che, come dicono Cassianus e S. Agostino, sono tali perché il demonio è entrato nella “bile nera” che dal sangue giunge al cervello e domina l’intelletto. Malinconia ipocondriaca, malinconia isterica (originale), furore uterino, amore insano, estasi malinconica, “fatuitas” o amenza o ebetudo (ebefrenia), decadimento mnesico sono citati.

Thomas Willis nel “de anima brutorum” parla di anima “corporea” opposta a quella “razionale”, per cui essa è alterata da uno squilibrio degli “spiriti animali” metabolizzati dalla ghiandola pineale che li riceve dal sangue e li distribuisce in tutto il cervello: essi sono una sorta di neurotrasmettitori. L’anima razionale è piegata dal dismetabolismo degli “spiriti animali”. Le malattie psichiatriche per Willis sono simili a delle passioni morali su base però biochimica, che alterano l’immaginazione. Egli descrive accuratamente la cefalea, il letargo, il coma, il coma vigile, l’ipervigilanza, l’incubo, le vertigini, la mania e la malinconia, la stupidità o “morositas”, ossia l’ebefrenia attuale.

Per Thomas Willis l’isteria è, come tutte le malattie psichiatriche, una “nevrosi”, ossia un disturbo non strutturale, bensì metabolico del cervello a carico degli “spiriti animali”: l’isteria come indice dell’utero che vagola è una “concezione popolare” e non scientifica; essa è una malattia “convulsiva”, così come il tremore e l’epilessia, e colpisce sia i maschi che le femmine.

Elleboro, purghe, salassi, oppio, bagni freddi o caldi, “theriaca”

Sino alla scoperta della terapia di shock (1900-1930) la cura delle malattie mentali è identica a quella praticata nel periodo classico: elleboro, purghe, salassi, oppio, bagni freddi o caldi (a seconda se il malato è inibito o agitato) e infine l’antica composizione galenica detta “theriaca”.

In quest’epoca generalmente il malato mentale non trova assistenza asilare se non in qualche convento. È documentato dalla letteratura che affronta questo problema dal XV al XVII secolo, proprio perché il malato mentale, anche grave, vive nelle città e nel contesto sociale, che questi malati, come si può intuire, si comportano in modo bizzarro, strano e spesso con modalità aggressive (si pensi al comportamento antisociale del maniaco e dei sofferenti di disturbi di personalità), tanto che viene spesso aggredito o deriso, oppure viene rinchiuso in carcere in caso si comporti in modo criminale. La maggior parte delle persone detenute in prigione è affetta da gravi malattie mentali, ad esempio Torquato Tasso è imprigionato perché gravemennte malinconico. In generale sappiamo che la malattia mentale non curata si estrinseca assai spesso con un comportamento auto o etero-aggressivo.

L’esempio di Linneo, la nosologia metodica

Giunti al XVIII secolo la psichiatria, sulle orme del medico-botanico e naturalista Linneo, sviluppa una fredda ma ampia nosologia detta “metodica”: questi aveva suddiviso le piante in categorie, classi e ordini. Così due grandi nosologi di questo secolo si incamminano su tale prospettiva. Cullen suddivide, sulle orme di Linneo, i disturbi mentali in categorie, classi, ordini. La categoria “neurosi” comprende tutti i disturbi neuropsichiatrici, a loro volta suddivisi in quattro classi: adinamie, coma, spasmi, vesanie. L’isteria appartiene all’ordine degli spasmi; la malinconia a quello delle vesanie, a sua volta suddivisa in tanti ordini: allucinatoria, religiosa, attonita, errabonda, demonopatica, nostalgica, con “taedium vitae” e così via.

Anche de Sauvages nella sua “Nosologia Metodica” suddivide le malattie in classi, genere, specie: ad esempio, in questa classifica l’epilessia viene delimitata nell’ordine delle convulsioni, genere spasmi, specie epilessia, così come anche l’isteria. Nel XVII secolo compare la teoria dei “vapori”; le emozioni “riscaldano” gli umori così che da essi vengono emessi dei “vapori” (umori attenuati) i quali squilibrano il sistema simpatico-vagale che a sua volta alimenta specifici sintomi, specie quelli ipocondriaci e isterici che esprimono lo squilibrio del tono vagale, ossia del sistema in sé diffuso ed errabondo, come sostiene White. Prende campo un’insolita questione sessuale che continuerà per oltre un secolo: Tissot scrive sull’educazione del popolo, così come Dubois decenni dopo; Tissot avvisa sulle catastrofiche conseguenze dell’onanismo, Pinel inquadra l’isteria nella malinconia d’amore: la storia tipica è quella di una giovane ragazza che, innamorata di un giovane di “bassa condizione sociale”, viene punita dal padre; di conseguenza ella soffre di “convulsioni”: il medico la cura con numerosi salassi sino al punto che questa muore.

La trattatistica

Il XVII secolo segna la rinascita delle scienze in generale e anche della medicina e della psichiatria: è il periodo della trattatistica: voluminosi testi affrontano, anche in modo esteso, la psichiatria. Basti citare gli studiosi come Sennert, Riverio, Mercator, Haller, Fracastoro, Cardano, van Helmont. Partecipano a tale movimento anche i filosofi, come Bacone da Verulamio e Cartesio (amico di Willis), che affrontano problemi di fisiologia e di psicopatologia circa il ruolo delle emozioni. Galileo fonda il metodo scientifico positivo, sperimentale, e Harvey scopre la circolazione arteriosa. Zacchia affronta i problemi medico-legali connessi con i disturbi mentali. Gerolamo Mercuriale pubblica un trattato di circa 700 pagine in foglio dal titolo “de cognoscendis et curandis humani corporis affectibus”, edito nel 1606; di queste, circa 200 pagine sono dedicate alla neuropsichiatria e alla psichiatria. Egli descrive la catatonia come un blocco psicomotorio nel quale i malati “mantengono la posizione che il medico fa loro assumere”. La melanconia “lupina” non è di natura demonologica, ma il delirio zoopatico nasce dal fatto che il malinconico “si immagina di essere trasformato in lupo”.

La nascita del manicomio in età classica

Invero già i templi di Asclepio sono in nuce dei veri ospedali per malati psichici, visto che la maggior parte delle persone che venivano a tali istituzioni risultavano individui con disturbi mentali. Dopo il X secolo specifici monasteri ricoverano gli insani, detti anche “lunatici”. Il manicomio Bethlehem, aperto in Inghilterra nel 1400, in origine era un convento ed ora è deputato alla cura dei “frenitici”. Nello stesso secolo a Roma viene aperto un reparto per gli “elleborosi”. Ancora nel 1700 i malati mentali sono confinati nei conventi assieme a vagabondi, ladri e criminali. Reil all’inizio del 1800 descrive queste strutture dove i ricoverati sono in condizioni disperate, orribili, che dormono nudi per terra su di un giaciglio di paglia. Così anche Esquirol descrive i reparti psichiatrici ancora nel 1840: i malati sono mal nutriti e spesso picchiati o frustati. Nel XVIII secolo, ma anche nei secoli precedenti, la maggior parte dei malati mentali, scrive Zilboorg, sono imprigionati: le carceri contengono il 70% di malati mentali detenuti per reati comuni. Daquin, Pinel, Tuke, Esquirol e Chiarugi mutano profondamente tali condizioni: Chiarugi impedisce che i suoi malati mentali siano esposti nel giardino del manicomio dietro inferriate, sottoposti agli scherzi dei passanti. Dopo la metà del XIX secolo nascono i veri e propri ospedali psichiatrici, con medici che curano e assistono i pazienti anche con la “terapia morale”; i malati inoltre sono suddivisi secondo specifiche classi nosologiche. I gravi psicotici sono confinati ancora in un reparto per gli “elleborosi”, affollati e in cattive condizioni igieniche.

Pinel e Chiarugi

Due grandi psichiatri vivono a cavallo tra il XVIII ed il XIX secolo: Pinel in Francia e Chiarugi in Italia. Le modificazioni profonde portate dalla rivoluzione francese comportano un miglioramento delle condizioni dei malati mentali: Pinel allegoricamente viene raffigurato mentre libera dalle catene e dai ferri i malati mentali. Per quanto riguarda l’approccio psicopatologico, nella sua nosologia filosofica esso include ancora la psichiatria tra le altre malattie.

Seguendo Willis, le malattie mentali anche da Pinel sono classificate come “neurosi”: l’ipocondria, ad esempio, indica una neurosi “gastro-intestinale”, mentre l’isteria una neurosi dell’apparato genitale femminile, e così la satiriasi; il priapismo è invece una neurosi dell’apparato generale maschile. Le vere e proprie psicosi, chiamate “insaniae” (mania e malinconia), sono spesso scatenate da eventi stressanti, da emozioni dette “passioni”.

In questo stesso periodo storico un grande psichiatra italiano è Chiarugi, direttore e riformatore illuminato dell’ospedale psichiatrico S. Bonifacio a Firenze. Egli scrive “Della pazzia in genere e in specie. Trattato medico analitico con una centuria di osservazioni”. Secondo lui la malattia mentale nasce dal cervello, dal “fisico”, dal mondo organico, specialmente dallo squilibrio del centro detto “sensorio comune” che collega l’anima col corpo. Egli rifiuta interventi coercitivi e indica nella “terapia morale” la vera cura della pazzia; importante è il suo apporto anatomo-patologico sullo stato del cervello nelle malattie mentali; ad esempio egli nota che nella “amenza” giovanile che esita in “stupidità”, l’attuale ebefrenia, si rileva “un’atrofia del lobo frontale” e un “allargamento dei ventricoli cerebrali”, dato oggi confermato con la tecnica della neuroimaging.

Fonte: Giuseppe Roccatagliata in collaborazione con Francesco Bollorino e Lisa Attolini (The Italian Online Psychiatric Magazine)



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