Ḥadīth: i detti del Profeta (حديث)

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Ḥadīth: i detti del Profeta (حديث)

La tradizione

La parola araba Ḥadīth (حديث), il cui plurale è Aḥadīth, ha lo stesso significato che nella lingua italiana ha la parola tradizione, cioè trasmissione orale di un detto, di una notizia, di un atto, di un fatto. Questa parola viene utilizzata per indicare la linea di condotta del profeta Maometto, trasmessa di generazione in generazione, oralmente, mediante una catena di persone degne di fede il cui primo anello è un testimone appartenente alla cerchia dei compagni o seguaci del profeta. Questi,  avendo visto o udito direttamente,  portano a conoscenza degli altri   insegnamenti derivati dall’esempio dell’inviato di Dio.

Fonte della shari’a

Ḥadīth ‎ ha anche un significato molto più importante perché è parte costitutiva della cosiddetta Sunnah, la seconda fonte della Legge islamica (shari’a) dopo lo stesso Corano. Si indicano, infatti, con il termine Sunnah le pratiche del profeta Maometto, ovvero la realizzazione pratica degli insegnamenti divini e delle leggi della religione. Le Aḥadīth (pl.), i detti del profeta, riguardano ogni aspetto della vita umana e contribuiscono ad indicare al credente la strada da seguire per realizzare la volontà divina.

Esistono milioni di ḥadīth, classificati per isnad (catena di trasmissione) ed affidabilità. La collezione della totalità dei singoli ḥadīth costituisce appunto la Sunnah.

Secondo i musulmani il Corano è dettato parola per parola da Dio. Dunque se ne dovrebbero evitare interpretazioni troppo libere che potrebbero portare il fedele a travisare i comandamenti divini e quindi a peccare e a meritare la collera divina. I musulmani tuttavia sono perfettamente coscienti che il Corano è tutt’altro che facile da capire: sebbene sia scritto in “arabo chiaro”, “parla per parabole” (sura XXXIX, versi 27 e 28) ed è dunque da interpretare, sia pure senza voli di fantasia.

A surrogare il Corano, acquistò prestissimo grande significato quello che Maometto faceva, diceva, oppure non faceva o non diceva quando interrogato su un quesito di fede, di opere o di liturgia. Maometto, ritenuto il migliore interprete della volontà divina (perché ineffabilmente ispirato), diveniva così il modello di riferimento dei suoi contemporanei e delle generazioni future di musulmani. La tradizione narrativa (cioè orale) riferita a Maometto e, in seguito, anche ai suoi Compagni (Ṣaḥāba) o a qualcuno dei Seguaci (Tābiʿūn) – costituenti cioè i più autorevoli musulmani delle generazioni successive a quella del Profeta e dei Compagni – acquistava pertanto valore di legge, sempre che mancasse un esplicito passaggio coranico ad ordinare o vietare qualcosa.

Va da sé che la malintesa pietas di alcuni musulmani (anche contemporanei di Maometto, come Abu Hurayra) ha generato in passato una gran massa di tradizioni false e inaffidabili ed è fin dal II-III secolo dell’Egira che il mondo degli studiosi musulmani è assai seriamente impegnato nella difficile opera della cernita di ciò che nella immensa massa dei ḥadīth è vero (o il credibile o affidabile) da ciò che è giudicato falso (o incredibile, o inaffidabile).

La catena dei garanti

Strutturalmente un ḥadīth è composto da una catena di trasmettitori-garanti (in arabo isnād, ovvero “sostegno“) che risale indietro nel tempo, formando una silsila (catena) che si allaccia al primo trasmettitore della tradizione. Il trasmettitore può essere un Compagno che l’ha ricevuta dal Profeta o un musulmano che l’abbia ascoltata da un Seguace o, talora, da qualche credente di grande rinomanza delle successive generazioni. L’isnād si presenta all’incirca col seguente schema:

«Ho ascoltato Tizio che ha detto a Caio che Sempronio aveva udito… Maometto dire: “…”».

All’isnād segue il vero e proprio contenuto della narrazione (il matn ).

Per distinguere le tradizioni autentiche da quelle false (magari anche con intenti pii, per ovviare a un silenzio coranico su una determinata fattispecie) si poteva ricorrere a un’indagine di tipo genealogico. Si esaminava cioè se un trasmettitore aveva o meno una buona nomea, una buona memoria o un’effettiva conoscenza o frequentazione del trasmettitore portatore della tradizione. Questo studio si chiama “scienza degli uomini” (ʿilm al-rijāl), a cui si affianca una disciplina di studio relativa al contenuto della tradizione, per vedere che essa non sia ad esempio illogica, incoerente o palesemente impossibile.

Le raccolte

Le tradizioni giuridiche furono raccolte in libri, organizzati dapprima per argomento (tali da essere senz’altro più sfruttabili da parte dei giudici dei tribunali sciaraitici) e che si articolavano in rubriche quali, ad esempio, “matrimonio”, “divorzio”, “compravendita”, “preghiera canonica” e così via. In questi casi i libri erano chiamati Sunan. Altri testi si organizzavano in base ai nomi dei trasmettitori, e venivano chiamati Musnad per il fatto, appunto, di studiare l’isnād. Tra tutti il più famoso è quello composto da Aḥmad b. Ḥanball, fondatore della scuola teologica e giuridica del hanbalismo.

I Sei libri (al-kutub al-sitta)

In genere si indicano Sei libri (al-kutub al-sitta) che conterrebbero le tradizioni giuridico-teologiche più affidabili e importanti. A volte se ne indicano 14 o più.

Fra i Sei libri si indicano per eccellenza:

– il Ṣaḥīḥ (Il [libro] sano) di Bukhārī e l’omonima opera di Muslim b. al-Ḥajjāj.

Gli altri cinque sono;

– i Sunan di Ibn Māja,

– di al-Nasā’ī,

– di al-Tirmidhī;

– e di Abū Dāwūd al-Sījistānī.

Va da sé che esistono ḥadīth sunniti, sciiti, zayditi, kharigiti e di altre correnti minoritarie islamiche. In particolare gli sciiti leggono con grande venerazione una raccolta di sentenze e sermoni di ‘Ali

Esistono raccolte particolari di c. d. ḥadīth qudsi in cui il Profeta riferisce parole di Allah che non furono raccolte nel Corano; anche la sīra (lett.: vita) è un genere particolare di ḥadīth organizzati in modo da fornire una biografia della vita terrena del Profeta.

Bibliografia

Traduzioni italiane di brevi raccolte di ḥadīth:

  • Maometto, Breviario, a cura di G. Mandel, Rusconi, Milano 1996
  • Maometto, Le parole del Profeta. La saggezza dell’islam in quattrocento massime e detti memorabili, a cura di A. al-Suhrawardi con una prefazione del Mahatma Gandhi, Newton Compton, Roma 1997
  • S. Noja (a cura), La saggezza del profeta Maometto, Guanda, Parma 1996
  • M. al-Qudda’i, La fiaccola ovvero le sentenze di Maometto il Profeta, a cura di R. Khawam, Rizzoli, Milano 2002
  • H. Ramadan (a cura), Quaranta detti del Profeta Muhammad, At-Tariq, Milano 2005
  • S.K. Faqihi (a cura), Tradizioni del profeta Muhammad e della sua immacolata famiglia, Isfahan 2000

Traduzioni italiane di alcune delle raccolte più ampie:

  • Al-Nawawi, Il giardino dei devoti. Detti e fatti del Profeta, a cura di A. Scarabel, SITI, Trieste 1990
  • Al-Bukhari, Detti e fatti del Profeta dell’islam, a cura di V. Vacca, S. Noja, M. Vallaro, UTET, Torino 2003 (prima ed. 1982)

Raccolte tematiche (sira, mi’raj, miracoli ecc.)

  • al-Tabari, Vita di Maometto, a cura di S. Noja, Rizzoli, Milano 1985
  • C. Saccone (a cura), Il Libro della Scala di Maometto, SE, Milano 1991 (ed. Oscar Mondadori 1999)
  • M. Lecker (a cura), Vite antiche di Maometto, Mondadori, Milano 2007
  • Qadi ‘Iyad, I miracoli del Profeta, a cura di I. Zilio Grandi, Einaudi, Torino 1995
  • al-‘Azraqi, La Ka’ba. Tempio al centro del mondo, a cura di R. Tottoli, Trieste 1992

 

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