Il momento cruciale del Romanticismo è quello che si pone fra il Settecento e l’Ottocento in Germania nei circoli costituiti dai fratelli Schlegel, Friedrich (1772-1829) e August Wilhelm (1767-1845) a Jena e poi a Berlino. La più efficace caratterizzazione del Romanticismo come categoria psicologica è stata data dal grande studioso L. Mittner: “Inteso come fatto psicologico, il romantico non è il sentimento che si affer-ma al di sopra della ragione, o un sentimento di particolare immediatezza, intensità e violenza, e non è neppure il cosiddetto sentimentale, cioè un sentimento malinconico-contemplativo; è piuttosto un fatto di sensibilità, il fatto puro e semplice, appunto, della sensibilità, quando essa si traduca in uno stato di eccessiva e addirittura permanente impressionabilità, irritabilità e reattività. Domina nella sensibilità romantica l’amore dell’irresolutezza e delle ambivalenze, l’inquietudine e l’irrequietezza che si compiac-ciono di sé e si esauriscono in sé”. Il termine più tipico per indicare questi stati d’animo è “Sehsucht”, che può essere reso in italiano con “struggimento”.
Il Romanticismo fu caratterizzato dal risalto che in alcuni sistemi filosofici si diede all’intuizione e alla fantasia in contrasto con quei sistemi basati unicamente sulla fredda ragione, intesa come unico organo della verità. In campo artistico la caratteristica principale della forma d’arte tipicamente romantica consiste nel prevalere del “contenuto” sulla forma e quindi in una rivalutazione espressiva dell’informale.
Grande importanza riveste in ambito romantico la musica. Tutti i romantici levano inni alla musica, descrivendo con esaltazione gli stati di grazia nei quali li getta l’audizione dei brani musicali: per primo Wackenroder, poi Tieck, Novalis, Jean Paul Richter. “A loro volta i filosofi, Schelling, Hegel, Solger assecondano la concezione dei poeti: ben lontani dal trascurare la musica nei loro sistemi di estetica, sono anch’essi tutti concordi nel considerarla una delle arti nelle quali maggiormente l’Assoluto si rivela nella forma sensibile e in cui l’elemento ideale e spirituale ha il predominio su quello materiale” (M.Donà, “Intr.” a “E.Th.A. Hoffmann, poeta e compositore”, p.XI).
Da parte sua Friedrich Schiller, nella sua opera “Dell’educazione estetica dell’uomo, in una serie di lettere”, composta nel 1793-94 e pubblicata nel 1795, “ancora in maniera non diffusa e tuttavia degna di nota esprime una sua posizione sulla musica. Lo scritto (…) postula due istinti fondamentali, l’istinto della forma e quello della materia, che danno voce rispettivamente alla ragione e al senso e che dilanierebbero l’uomo con il loro inconciliabile antagonismo se non intervenisse l’arte a disciplinarli” (G.Guanti, “Estetica musicale“, p.250). La scultura, per esempio, inclina verso l’istinto della forma, la musica verso quello della materia, che va pertanto mitigato e corretto da una più rigida e costrittiva formalizzazione.
La musica è destinata dai Romantici a farsi arte superiore, più efficace, dal punto di vista di una soggettività consapevole di sé, di qualsiasi altra espressione artistica. In perfetta consonanza con il precedente kantiano, Johann Friedrich Herbart (1776-1841) avrebbe riconosciuto “la perfetta autonomia della valutazione estetica, rispetto al secolare dominio dell’istanza conoscitiva (…) Il fatto è che la musica disegna ogni volta una sfera puramente relazionale che consegna il massimo rigore a una dimensione che altrimenti si ritroverebbe abbandonata alla vaghezza e all’approssimazione: quella del cuore” (M. Donà, “Filosofia della musica”, p.93).
Wilhelm Heinrich Wackenroder
L’autore che avvia una vera e propria estetica musicale in ambito romantico è Wilhelm Heinrich Wackenroder (1773-1798), con un’opera capitale: “Sfoghi del cuore di un Monaco innamorato dell’arte” (1796) in cui si trovano anche “La singolare vita musicale del compositore Joseph Berglinger” e le “Fantasie sull’arte per gli amici dell’arte (saggi musicali di Giuseppe Berglinger)”.
Gli “Sfoghi del cuore” contengono la prima formulazione compiuta dell’estetica musicale romantica; in questo contesto l’asemanticità della musica, cioè il fatto che la musica non significhi qualcosa di sufficientemente preciso, come le parole, “che nel classicismo razionalista rappresentava il capo d’accusa principale contro di essa, vi diventa motivo di privilegio nei confronti delle altre arti” (G. Guanti, “Estetica musicale”, p.263). La musica è esaltata proprio perché un’opera musicale non ha un significato paragonabile a quello del linguaggio ordinario.
“L’arte – scrive Wackenroder – è una lingua di tutt’altra specie della natura; ma anch’ essa esercita una meravigliosa potenza sul cuore dell’uomo, ottenuta per vie similmente oscure e misteriose. L’arte parla attraverso figure umane e si serve di una scrittura di geroglifici, i cui segni noi conosciamo e comprendiamo secondo l’apparenza esterna. Ma essa fonde ciò che è spirituale e soprasensibile in forme sensibili e in una maniera così commovente e meravigliosa che di nuovo il nostro essere, e tutto ciò che è in noi, è messo in movimento e scosso fin nelle fondamenta (…) Le teorie dei sapienti commuovono solo il nostro cervello, solo una parte di noi stessi, ma le due meravigliose lingue, la cui forza io vi annuncio, toccano i nostri sensi e il nostro spirito; o piuttosto sembrano fondere insieme – poiché non so esprimermi altrimenti – tutte le parti del nostro (ma per noi incomprensibile) essere, in un nuovo unico organo, il quale afferra e comprende, attraverso queste due vie, i miracoli celesti”
La concezione romantica della vita e dell’arte aveva portato la musica ad assumere un posto elevatissimo fra le attività umane. L’inquieta anima romantica, che avvertiva acutamente e dolorosamente il contrasto fra il mondo terreno e l’Assoluto, “si rivolgeva all’arte come alla conciliatrice di questi opposti, come al campo spirituale in cui l’Assoluto si rivela in forma sensibile” (M. Donà, “Introduzione” a “E.Th.A. Hoffmann, poeta e compositore”, p.XI).
Questo è particolarmente evidente nel personaggio di Berglinger, delineato da Wackenroder.“Questo amaro contrasto tra il suo innato etereo entusiasmo e la partecipazione alla vita terrena di ogni mortale, la quale ogni giorno ci strappa con violenza dai nostri sogni, lo tormentò per tutta la vita” (“J. Berglinger”, p.116). Berglinger lamenta che ai suoi tempi la musica è diventata “un divertimento dei sensi, un piacevole passatempo”. Gli scritti di Wackenroder non lasciano dubbi sul carattere romantico della sua concezione artistica: “egli interpreta le arti muovendo dalla dimensione religiosa” (H. Besseler, “L’ascolto…”, p.87).
L’identità di musica e poesia in Novalis
Se per Friedrich Schleiermacher (1768-1834) esiste un’affinità intima tra musica e religione, religione intesa come una “religione del sentimento”, per Novalis (1772-1801) esiste un’affinità intima tra musica e poesia, molto discussa nei suoi “Fragmente”. “Tutti i suoni che la natura produce sono rudi e senza spirito; soltanto all’anima musicale il mormorio della foresta, il sibilo del vento, il canto dell’usignolo, il chioccolio del ruscello sembrano spesso melodici e pieni di significato. Il musicista cava l’essenza dell’arte da se stesso: non lo può toccare neanche il più lieve sospetto che sia un imitatore” (“Frammenti”, n.1120). Per Novalis solo il musicista vede ogni cosa come essa davvero si dà, ossia spazialmente; e dunque può fare-mondo, o anche, porsi come interno contrapposto a un esterno. In questo modo manifesta il suo esserci. Essere in un mondo inteso come mera oggettualità; prendere le misure e figurarsi la scena dell’esistenza; perché “le forme appaiono mediante vibrazioni incoscienti”. Ma se il musicista non può essere in alcun modo imitatore, se egli “cava l’essenza dell’arte da se stesso”, allora nessuna legge esterna può condizionarne l’immaginazione. Perciò vera musica visibile sono, per lui, “gli arabeschi, gli ornamenti”.
E.T.A. Hoffmann e la diffusione europea dell’estetica musicale romantica
La concezione romantica della musica viene esposta nel modo più completo e articolato da Ernst Theodor Amadeus Hoffmann (1776-1822), cantore dell’infinito struggimento suscitato dalla musica. Musicista egli stesso, Hoffmann riscopre il puro canto come mezzo per esprimere la devozione, componendo nel 1808 cori a cappella a quattro voci. In un’epoca dominata dalla musica di Beethoven, i romantici scoprono nel canto a cappella un mondo antitetico al classicismo. “Si realizza così l’incontro con la musica antica, mai del tutto dimenticata, ma ora riscoperta come una irrinunciabile integrazione al presente. Il nome di Palestrina diventa presto un simbolo” (E. Besseler, “L’ascolto…”, p.88).
Ma nonostante queste considerazioni, E.T.A. Hoffmann è un fine interprete della musica strumentale di Beethoven. “Hoffmann, che nei suoi scritti insiste spesso sul potere della musica di farci evadere dalle pene e dalle miserie del mondo terreno, di strapparci dalla contingenza, quale ‘voce consolatrice’ che ci sottrae ‘alle bassezze umane’, nella recensione della Quinta Sinfonia di Beethoven (1810) esplicita l’equivalenza tra la musica – la sola arte che non rappresenta sentimenti determinati ma suscita nel cuore umano quella unendliche Sehnsucht, quell’infinito struggimento’ che schiude all’ascoltatore l’arcano Dschinnistan, il regno supremo dell’Assoluto – e il romanticismo. Ciò è vero in particolar modo per la musica strumentale, la sola che possa esser considerata un’arte autonoma, e perciò, a rigore, la ‘musica vera e propria’” (Guanti, “Estetica Musicale”, p.285).
Come si vede, nell’opera di E.T.A. Hoffmann agisce in tutta la sua portata l’ambivalenza tipicamente romantica tra predilezione per il canto, in quanto veicolo di significato, e musica strumentale pura, come linguaggio privilegiato dell’arte dei suoni. “ L’arte di Beethoven ci schiude il regno del prodigioso e dell’incommensurabile. Raggi ardenti squarciano la notte profonda di questo regno, e noi scorgiamo un agitarsi e un ondeggiare di ombre gigantesche, che ci stringono sempre più da vicino e ci annientano, pur senza distruggere il dolore della nostalgia infinita, nella quale ogni gaudio, levatosi d’un sùbito in note esultanti, sprofonda e scompare: e solo in questo dolore, che – consumando in sé, pur senza annientarli, amore, speranza, gioia – pare voglia schiantarci il petto con una sinfonia a piene voci di tutte le passioni, noi continuiamo a vivere, rapiti visionari!” (E.T.A. Hoffmann, “La musica strumentale di Beethoven”).
La musica nel Romanticismo inglese
Si può solo abbozzare in questa sede un discorso sul rapporto tra il Romanticismo inglese e la musica, che potrebbe riservare molte sorprese interessanti. Innanzitutto c’è da rilevare un tema che attraversa le opere degli autori in questione, quello dello stretto rapporto tra poesia e filosofia. Samuel Taylor Coleridge (1772 – 1834), in “Metafisica Poesia” scrive: ”Nessuno è mai stato ancora un grande poeta, senza essere al tempo stesso un filosofo profondo. Per la poesia è il fiore e la fragranza di ogni conoscenza umana” .
D’altro canto Shelley dedica alla musica una lirica dal profondo significato filosofico:
Percy Bysshe Shelley
Two fragments. To music
Silver sky of the fountain of tears,
Where the spirit drinks till the brain is wild;
Softest grave of a thousand fears,
Where their mother, Care, like a drowsy child,
Is laid asleep in flowers.
No, Music, thou art not the “food of Love”,
Unless Love feeds upon its own sweet self,
Till it becomes all Music murmurs of.
Questa è la traduzione:
Argentea chiave della fontana delle lacrime,/ dove lo spirito s’abbevera finché il cervello è folle;/ soffice tomba di mille timori,/ dove la loro madre, l’inquietudine, come una bimba assonnata,/ addormentata tra i fiori./ Musica, no, tu non sei il “cibo dell’Amore”,/ a meno che l’Amore non si nutra del suo dolce essere stesso/ finché diviene tutto ciò di cui la Musica bisbiglia.
Il soggetto vocativo si trova dopo cinque versi (“Musica”), definito subito in negativo (“tu non sei”) attraverso lo smontaggio di una frase fatta (“cibo dell’Amore”), tipica della cultura romantica. Ma ritorniamo indietro: che cosa è la Musica? Una chiave argentea della fontana delle lacrime e una soffice tomba. Luccicano, questi due aggettivi, argentea della chiave e soffice, detta della tomba. Si delinea un paesaggio di fantasia. Un piccolo cimitero di campagna ornato di fiori, la fontana delle lacrime si materializza appena fuori il cancello, una giovane signora che sembra una bimba assonnata tra i fiori. Su questa scena aleggia un turbine che per un momento ha smesso la sua folle corsa: lo spirito che s’abbevera alla fontana finché il cervello è folle. Perché folle? Qui Shelley dice qualcosa di preciso: perché ha smarrito la Ratio, è lontano dal Logos, dalla Razionalità. Lo spirito attinge alla fontana della Musica nella condizione – da supporre momentanea (“finché”)- di abitante di un luogo lontano dalla razionalità. Si ricorre alla Musica finché o quando ci si trovi al di fuori della Ragione.
La Musica accudisce mille timori sollevati dalla vera e vigile vita dello spirito. Quindi è lontana dalla vera vita dello Spirito. Ha una funzione consolatoria. La terribile Inquietudine sembra una bimba assonnata tra i fiori. La Musica non è neppure il “cibo dell’amore”. Quindi, oltre ad essere lontana dalla Ragione è lontana anche dal Sentimento. La conclusione è introdotta da un : “a meno che”. Ecco cosa concede Shelley alla Musica. La Musica bisbiglia qualcosa in lontananza: non possiede Ragione né Sentimento. Un essere del genere non può parlare, non può far altro che “bisbigliare”; infatti, non è la dimora dello Spirito. D’altra parte è qualcosa che fa riferimento esclusivamente a se stesso. Ha una precisa autonomia. Non ha funzione mimetica rispetto a una presunta realtà. Allora l’Amore potrà somigliarle, nel momento in cui si nutrirà di se stesso, come la musica. La Musica bisbiglia cose che vengono prima del linguaggio, in una maniera incomprensibile a chi abita questo linguaggio e in virtù di una spirale di senso che gira esclusivamente intorno a se stesso.
La follia romantica
Una sorta di follia cominciava a pulsare furtiva in esperienze ormai dichiaratamente insufficienti a esprimere “la meta”. Il fenomeno cominciava a dilagare nel magico mondo del Romanticismo ottocentesco. William Blake descrisse una visione maniacale avuta dal poeta William Cowper. Ma anche Gérard de Nerval, verso la metà del secolo, fece propria un’idea di follia intesa come eccezionale condizione energetica e creativa. Il poeta Friedrich Hoelderlin terminò la sua vita quasi completamente schizofrenico. Lo scrittore e drammaturgo Heinrich von Kleist mise fine ai suoi giorni con un patto suicida e Clemens Brentano fu afflitto da una psicosi di carattere religioso e da una depressione grave quanto quelle di Cowper. Anche il pianista e compositore Robert Schumann, forse l’ultimo dei Romantici, “fu ossessionato, sin dall’età di diciassette anni, dalla paura di diventare pazzo. Solo alla fine della sua breve vita, comunque, questi timori si tradussero in realtà: nel 1854, all’età di quarantaquattro anni, due anni prima della morte, si rinchiuse volontariamente in un manicomio”.
Il timore reverenziale di fronte al mistero è il nuovo atteggiamento di fondo dei romantici. “Il suo manifestarsi in musica è stato indagato nell’ambito specifico del ritmo, e precisamente nella risonanza prodotta dalla vibrazione per simpatia. Il compositore romantico si caratterizza per una pura visione interiore, che conduce al mondo della fantasia e assorbe tutte le sue forze. Quanto viene scrutato nell’interiorità è in armonia con le atmosfere di natura mediante un’unione mistica con il mondo”. (H. Besseler, “L’ascolto…”, pp.91-92)
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Bibliografia:
Opere di carattere generale
Heinrich, Besseler, L’ascolto musicale nell’età moderna, Il Mulino, Bologna 1993.
Massimo Donà, Filosofia della musica, Bompiani, Milano 2006.
Giovanni Guanti, Estetica musicale, La Nuova Italia, Milano 1999.
P. Repetto, Il sogno di Pan. Saggio su Debussy, Il melangolo, Genova 2000, p.45.
T.W.Adorno, Mahler. Discorso commemorativo di Vienna, in Immagini dialettiche. Scritti musicali 1955-65, Einaudi, Torino 2004.
Opere dedicate alla Filosofia della musica nell’Ottocento
-W.H.Wackenroder, Herzensergiessungen eines Kunstliebenden Klosterbruders; “La singolare vita musicale del compositore Joseph Berglinger” (Das merkwuerdige musi-kalische Leben des Tonkuenstlers Joseph Berglinger), in W.H.Wackenroder, “Scritti di poesia e di estetica”, Intr. e trad. di Bonaventura Tecchi, Sansoni, Firenze 1967.
-E.Th.A. Hoffamann, poeta e compositore, Scritti scelti sulla musica, a cura di Marian-gela Donà, Discanto, Fiesole 1985
-Hegel, “Lezioni di estetica”, Corso del 1823 nella trascrizione di H.G.Hoto, Traduzione e Introduzione di Paolo D’Angelo, Laterza, Bari 2000.
Monsieur Croche” antidilettante”, (trad.it. “Il signor Croche antidilettante”, traduzione e note di Luigi Cortese, SE, Milano 2000).
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